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Recensione: “Diario di un mondo fermo” di Pietro Cifarelli | L’Altrove

Diario di un mondo fermo (Eretica Edizioni, 2020) di Pietro Cifarelli non è solo una raccolta di poesie, come banalmente si potrebbe pensare, ma è soprattutto un intimo spaccato dei primi mesi del 2020.
Cifarelli guida il lettore giorno per giorno nella la sua quarantena, racconta il ritrovarsi costretto a rimanere in casa, come tutti d’altronde, il combattimento interiore, le paure, il desiderio di dire basta.

Il libro si apre con Giorno 0, una sorta di rap che ricorda gli Slam americani, e, come uno schiaffo, viene sbattuto in faccia al lettore il presente pandemico (fuori c’è la guerra) e il passato (pensi a quando ne avevi venti) che oggi appare ridicolo, assurdo e fatto da sciocchezze adolescenziali (sigarette da figo / e sorriso da idioti), ma con la sua innocenza disarmante.

Salviamoci, incita il poeta alla fine della poesia, riscopriamo i gironi facili. Quanto mancano le semplici e scontate vite quando non si vive?

Giorno 2

Dovevi apparire proprio
adesso
quando nel mondo
ancora
Non conoscono la pace.

C’è comunque nella poesia di Cifarelli una certezza risoluta, quando in un giorno come il 2 il poeta chiede e aspetta una risposta, nei giorni 3 e 4 scrive versi più speranzosi, affrontando a colpi di versi il suo nemico/amico (Ti pentirai, amico mio) e il giorno successivo ci fa accorgere che una meraviglia accade comunque: il ritorno della primavera, definita qui antidoto.
In Giorno 12 il poeta riprende il motivo dello scorrere del tempo, della ripetizioni degli eventi, leitmotiv letterario importante. Ricorda l’eterno ritorno Nietzschiano, la ciclicità temporale. In questi versi il poeta si zittisce per dare vice alla Primavera stessa, la quale nel suo monologo afferma:
«Diffidate da chi
dichiara il tempo perduto,
da chi lo teme,
da chi incoraggia
le catastrofi. Io sono qui,
prima e vera,
ci sarò sempre,
ad aspettarvi»

C’è il bene, la tanto agognata quiete che aspetta per ritrovarci.

I giorni passano e la scrittura si fa sempre più concitata. La poesia di Cifarelli si muove tra i giorni, riflette sulla solitudine quasi necessaria per riascoltarsi (Non capitava / […] di prestare così / tanto ascolto / a me stesso. Da Giorno 11) e altri in cui avverte la morsa della stessa solitudine, la mancanza di contatto e della chiusura forzata, dell’immobilità in stanze che appaiono sempre uguali. Cifarelli disturba gentilmente l’Infinito leopardiano, il colle qui è la casa, la siepe la porta di casa, e il naufragare non è poi così dolce, il mare è stagnante, imparato a memoria.

Sentimenti che conosciamo bene, che abbiamo provato e che tuttora proviamo anche noi. Scorriamo ancora le pagine del diario di Pietro Cifarelli e ritroviamo ricalcare i precedenti topoi, ma rafforzati. Il distacco dal contatto grava su ognuno, il poeta lo acuisce con i suoi versi, la necessità di libertà, di normalità è prepotente. L’autore passa a denunciare il nostro stato di uomini irresponsabili, che distruggiamo senza rendercene conto.

Sono ben settantacinque i giorni narrati, i due mesi più tristi che abbiamo vissuto l’anno scorso. Tra una poesia e l’altra ci sono le bellissime illustrazioni di Carlotta Calabria, dei respiri leggeri tra composizioni che il respiro lo tolgono.

Settantacinque poesie, tra pugni dati a Covid, terribile avversario a cui dà del tu, e carezze al nostro cuore e alla nostra anima stanca. Settantacinque modi diversi in cui è stato affrontato un periodo che ha sfiorato l’assurdo, che ha rivelato il vero volto del mondo, un periodo in cui Cifarelli ha avuto modo di collaborare con la Brigata Franca Rame di Milano, che nei mesi del lockdown è stata una realtà presente e attiva.

Alla fine del libro è Cifarelli stesso che afferma:

questo diario / è solamente la parola / di un ragazzo / che per la prima volta / si è guardato dentro, / ed ga capito dove è marcio / e dov’è libero e degno.

Rieccolo il guardarsi dentro, la riscoperta di un mondo, di una società guasta.

Non aspetteremo un altro te, / caro virus, / per usarti come la scusa / della nostra vergogna.

È vero, abbiamo dato la colpa al virus per i tanti errori commessi, per l’incapacità di assumerci le nostre responsabilità.

Gli ultimi versi di Giorno 74 sono un’invocazione di speranza: una luna sprofonda, ma un’alba nuova è pronta a sorgere.

Ecco, è questa la mia / ultima luna / quella che poi ti riconosce, / ti sviscera e t’innamora. / Quella che si riflette nel mare / di un’alba tutta nuova.

L’AUTORE

Pietro Cifarelli

Pietro Cifarelli è un poeta Lucano. Autore di Loro mi hanno meravigliosamente rovinato la vita (Eretica Edizioni, 2019). Vive a Milano dove studia Lettere moderne e lavora come copywriter. È un attivista del collettivo LUMe (Laboratorio Universitario Metropolitano) e della Camera del Non-lavoro. Fa parte del collettivo poetico Tempi diVersi. Durante il lockdown ha partecipato come volontario alla Brigata Franca Rame.

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