Poeti contemporanei viventi

Poesie scelte di Ida Vallerugo | L’Altrove

Ma tu perfetto fiore

Ira di vento e sono al muro.
Portati il pensiero che mi sequestra
riportalo aria, desiderio o non sono.

E t’incrocio. Non ora, luna
non ora, e mi è più cara quella luce, lei sola nel buio.
Ma sei così limpida tu, serena.
Che vista sei, luna, ai rami d’inverno
e li rifletti su di me al muro e tutte si muovono su di me
queste forme e diverse sono da quelle.
Questa è un’ascella. Quello che là si fa, un profilo.
Quello un sentiero a un giardino improvviso.

Chi cammina, chi cammina in questo giardino
chi spezza i rami e si fa affanno il respiro?
Ma tu, perfetto fiore, non farti subito trovare,
è tempo di vivere, di appendere un sole.

Sarà una pesca questo punto d’ombra
nel palmo della mano, la stessa pesca che tu a tavola
sollevi alla luce e la ruoti piano seguendo le sfumature
e sì, dici, aspirando il profumo
è sempre quella pesca, gettato nell’erba la guardavo
oscillare sul ramo alla luna di guerra.
E tu chi sei che impollini ombre?
Levati di torno.

E non dire andando non sono reali

ma cosa non è vero?

Né che tanto saremo, luna.

Da Stanza di Confine (Crocetti)


Neve

Quieto dormitorio accanto al nulla.
Un luogo, il mondo
servono anche per uscirne.

Ma tu, morta, mi costringi
a continuare a rompere l’inferno
con una zappa di vetro
e una tromba barocca
e tuttavia credere, credere

credere ancora in quella cosa
seppellita che si chiama poesia.
Per te io torno a scrivere in maggio
una poesia sulla neve
che spianerà presto i lineamenti
di Meduno, del mondo,
la loro memoria dolce selvaggia.
Ascolta, comincia così

la neve
le sue ossa di luce, la forma perfetta, la forza splendore
la neve ha solo i nostri occhi
per vedersi.

Da Maa Onda


La Poesia

Dormi, mi dico. Lei la senti bussare
anche nel sonno. Esce da te, poi si finge alla porta.

Dopo anni di assenza torna all’improvviso,
chiede dove ha lasciato la sciarpa
e di seguirla senza troppe domande.

Questo non è vivere. Ma senza di lei non c’è vita.
E vuole essere attesa.

“Come dio?” mi chiede il venditore arabo
dal quadro, oggi non ha fatto affari, ha spento la lampada
all’ingresso della tenda. Gli animali dormono.
Si accinge a scrutare le stelle lui, e a prostrarsi.

“Come dio?” insiste dal suo silenzio grande.
Lei vive e muore in questa scorza.

Da Stanza di confine


Colloquio

Non guardo Meduno nel sonno
tua giacca, prato, per te mio luogo,

o se preme un possibile giorno

come dirti? È un sentirsi allontanare
tornare nelle cose e qui sulla porta dire ci precediamo
così tanto noi che ci aspettiamo oltre ogni notte,
ogni oscuramento, se qui la tua luce è accesa
se stringi il senso tuo della vita.
Essere sguardo. Non sentire.

Tutto il mio buio tu occupi ora.
Alzi piano la testa, per me tu la sollevi
qui e nell’antitempo la sollevi, la tortora non la piega
più sul petto. Tu che sei qui e sei universo
che sei solo rimpianto, padre, anche del dolore.
Essere nessuno ma a questa porta. E solo quando la vita
si fa stupore. Questa mia povertà
che ti allontana, perché non vedo il salto?
Ti guardi in me, specchio che non si deforma,
possibilità di un altro giorno
e mi trema negli occhi il mondo.

È qui, e non senza noi, il giorno.

Da Stanza di confine


Davanti al mondo

Ancora una volta faccia a faccia mondo
e volevo portarti un frutto di serra
ma anche tu sei a mani vuote.

Ma forse non ho i regali giusti per te mondo
e forse niente da me ti aspetti. E quando mai attendi
l’inutile tu? E quando mai l’inutile per questo
si dispera? Io ti amo mondo, ma di te non mi curo.
E ci abbracceremo noi, e non fra i cavi
della città affondata o nella memoria
di un lungo mistico inverno
e non con parole morte ci parleremo
che quando un amante parla, l’altro tutto
capisce e ama e quello e non altro vuole sentire.

E non mi guardo nella pelle di muta
sul gradino del tempio abbandonato.

Né in quelle bianche ghiaie sotto la luna.

Da Mistral

L’AUTRICE

Ida Vallerugo vive in “quella scala di grida assopite” che è per lei Meduno (PN), dove è nata nel 1946 e dove ha svolto l’attività di insegnante alle Scuole Elementari. Ha esordito con una raccolta di liriche in italiano, La porta dipinta (Pan Editrice, Milano 1968), seguita, nel 1972, da Interrogatorio (Quaderni del Collettivo R., Firenze 1972). Soltanto nel 1979, dopo la morte della nonna, ha scelto per le sue poesie il friulano. È nata così Maa Onda (I quaderni del Menocchio, Montereale Valcellina, PN, 1997). La raccolta di versi in friulano intitolata Figurae e pubblicata ne “La barca di Babele” (Circolo Culturale di Meduno, PN, 2001), rappresenta un anticipo di Mistral. Nel 2004, Franco Loi ha proposto una piccola importante antologia di liriche della Vallerugo in Nuovi poeti italiani (Einaudi, Torino). Franco Loi ha curato anche la prefazione di Mistral edito nel 2010 (Il Ponte del Sale), nel 2013 ha pubblicato Stanza di confine (Crocetti Editore), con prefazione di Pierluigi Cappello.

Foto di Danilo De Marco.

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