
La neurodivergenza nella poesia: un’indagine tra psiche, linguaggi e forme | L’Altrove
Nel corso del Novecento e con maggiore consapevolezza nella contemporaneità, la nozione di neurodivergenza ha acquisito crescente rilievo in ambito medico, sociale e culturale, fino a imporsi come categoria interpretativa anche nel campo degli studi letterari. Lungi dal ridursi a una definizione clinica, la neurodivergenza si configura oggi come paradigma critico capace di interrogare in profondità le modalità della soggettività, i linguaggi dell’esperienza e le forme della percezione. In ambito poetico, questa prospettiva solleva domande cruciali: in che modo la neurodivergenza incide sull’elaborazione formale e tematica del testo poetico? Esiste una specifica “poetica neurodivergente”? Quali sono le poetiche che si costituiscono attraverso modalità cognitive e sensoriali eccentriche rispetto alla norma neurotipica?
Ci proponiamo di esplorare la presenza, la forma e il significato della neurodivergenza nella poesia italiana e internazionale del Novecento e del XXI secolo, muovendoci tra figure poetiche esemplari, traiettorie marginali e innovazioni linguistiche e percettive riconducibili a esperienze neuroatipiche. Si considereranno poeti ufficialmente diagnosticati, al pari di coloro che, pur non essendo identificati come neurodivergenti in senso clinico, sviluppano poetiche che mettono in crisi i codici normativi della rappresentazione cognitiva ed emotiva.
Neurodivergenza come categoria poetica e critica
Il termine “neurodivergenza”, coniato all’interno del movimento per i diritti delle persone autistiche alla fine degli anni ’90, si è esteso fino a includere una vasta gamma di condizioni neurologiche e psichiatriche (autismo, ADHD, dislessia, disturbi bipolari, schizofrenia, depressione maggiore, ecc.) accomunate dall’essere considerate “altre” rispetto a una presunta normatività cognitiva e percettiva. Se questa categoria è nata in ambito attivista, la sua fortuna critica recente è legata all’interesse crescente per le “minoranze cognitive” nei cultural e disability studies, nella filosofia della mente, negli studi queer e crip.
Applicata alla poesia, la categoria di neurodivergenza permette di ripensare la forma poetica stessa come luogo di espressione di uno sguardo altro, decentrato, disallineato rispetto alle logiche razionali e comunicative dominanti. La neurodivergenza non è oggetto della poesia, ma suo principio costitutivo: matrice di dispositivi linguistici, ritmici e semantici che sovvertono le aspettative del lettore neurotipico. Frantumazione del sé, discontinuità sintattica, iperpercezione sensoriale, fissazione tematica, giustapposizione afasica, ecolalia o ripetizione ossessiva diventano strategie poetiche che interrogano la razionalità logocentrica della lirica moderna e contemporanea.
In tal senso, la neurodivergenza rappresenta una chiave di accesso a nuove forme dell’espressione poetica. Essa mette in crisi il paradigma della trasparenza comunicativa e del soggetto cartesiano, aprendo lo spazio per una soggettività poetica fluida, molteplice, spesso perturbante. Non è un caso che molti dei poeti più radicali del Novecento – da Antonin Artaud a Sylvia Plath, da Amelia Rosselli a John Berryman – abbiano sviluppato una poetica dell’alterazione cognitiva, della scissione, del trauma e della sovrainclusività sensoriale.
Il caso italiano: Amelia Rosselli e oltre
Nel contesto italiano, la figura di Amelia Rosselli rappresenta un paradigma imprescindibile per lo studio della neurodivergenza in poesia. Musicista, traduttrice, saggista e poeta plurilingue, Rosselli ha costruito un’opera lirica che si configura come campo di battaglia tra linguaggi, sintassi disarticolate, ritmo mentale e frattura del senso. La sua scrittura è segnata da una continua oscillazione tra l’urgenza espressiva e l’impossibilità di articolazione coerente: un’interferenza costante tra logica e disordine, tra formalismo e allucinazione.
Nella raccolta Variazioni belliche (1964), la lingua italiana è deformata fino a diventare corpo sonoro e sintattico di un’esperienza perturbata, quasi psicosi linguistica. La sua versificazione, caratterizzata da incisi improvvisi, segmentazioni erratiche, ripetizioni ossessive e passaggi multilinguistici, può essere letta come l’esito di un pensiero neurodivergente che esplora le pieghe del trauma e della memoria non lineare. La scrittura rosselliana, che si muove tra depressione, dissociazione e tensione visionaria, non va patologizzata ma interpretata come dispositivo formale che sfida la normatività poetica. Rosselli trasforma il disordine in strategia estetica e il disadattamento in radicale sperimentazione.
A Rosselli si affiancano altri esempi di poetiche neurodivergenti, spesso trascurate dalla canonizzazione letteraria. Si pensi ad Alda Merini, la cui produzione in parte segnata dall’esperienza manicomiale non può essere letta come espressione confessionale o “terapeutica”, ma come messa in scena di una soggettività poetica franta, visionaria e iperintensa. Nella sua lirica, la malattia mentale non è mai solo tematica, ma struttura profonda che modula il ritmo, l’immaginario e il rapporto con la lingua.
Internazionalismi e poetiche della frattura
La dimensione internazionale del rapporto tra neurodivergenza e poesia si sviluppa in una pluralità di direzioni. Figura centrale è Antonin Artaud, il cui lavoro poetico e teorico rappresenta una delle prime articolazioni consapevoli di una scrittura “altra”, fondata sul collasso del linguaggio come sistema di rappresentazione razionale. Artaud non scrive “nonostante” la schizofrenia, ma attraverso una logica interna all’alterazione percettiva: la sua poesia è spasmo linguistico, corpo linguistico, linguaggio dell’urlo.
Sylvia Plath e Anne Sexton, spesso associate alla poesia confessionale, hanno costruito nei loro versi un laboratorio di esplorazione dell’affettività patologizzata – depressione, ideazione suicidaria, angoscia – come forma di verità non mediata. In Plath, in particolare, la lingua si fa lama, precisione clinica e metafora incandescente, con un’aderenza al dettaglio emotivo che sfida ogni mediazione simbolica. Il suo immaginario è ossessivo e acuto, e le sue strutture poetiche sono spesso segnate da simmetrie ossessive, polarità estreme, richiami interni ripetitivi – tutti tratti che possono essere riletti in una chiave di neurodivergenza affettiva e cognitiva.
John Berryman, con i suoi Dream Songs, mette in scena una mente disgregata e ironica, ossessionata dal lutto, dall’alienazione, dal fallimento linguistico. I suoi giochi sintattici, le cesure illogiche e l’alternanza di registri creano una macchina verbale che traduce sul piano formale una coscienza inquieta e disallineata.
Neurodivergenze contemporanee: tra cripistemologia e poesia queer
Negli ultimi decenni, l’emersione della neurodivergenza come categoria politica e culturale ha ridefinito anche il panorama della poesia contemporanea. L’avvento delle poetiche neuroqueer – che uniscono esperienze neurodivergenti e queer – ha generato pratiche linguistiche e formali ibride, polifoniche, spesso dissonanti, che rifiutano l’integrità del soggetto lirico e sperimentano forme instabili di enunciazione. In Italia, autori e autrici più giovani (come Marco Giovenale o Gabriele Frasca in certi momenti, o alcune voci emergenti legate a riviste e collettivi transfemministi) hanno messo in atto forme poetiche che destrutturano la sintassi e la semantica in direzione di un pensiero divergente, eccentrico, disregolato. Non sempre queste scritture si nominano come “neurodivergenti”, ma ne condividono molte caratteristiche: pulsionalità verbale, asimmetria logica, allucinazione lessicale, spostamento prossemico.
A livello internazionale, autori come Hannah Emerson, poetessa autistica e non parlante, ridefiniscono il concetto stesso di linguaggio poetico. Emerson scrive con un dispositivo di comunicazione assistita, ma i suoi versi si situano dentro una grammatica interiore radicalmente alternativa, una sintassi del corpo-mente che dissolve la distinzione tra scrittura e urgenza. La sua poesia non parla dell’autismo, ma scrive attraverso l’autismo – producendo una forma poetica neurocentrica inedita.
Adam Wolfond, anch’egli autistico e non parlante, è un altro esempio di come laneurodivergenza possa trasformare il linguaggio poetico. In The Wanting Way, esplora il tema del desiderio non come mancanza, ma come ricerca di connessione e significato. Le sue poesie sono fluide, quasi musicali, e sfidano le tradizionali strutture poetiche. Wolfond utilizza la poesia per costruire ponti tra sé e gli altri, superando le barriere della comunicazione verbale. La sua sensibilità poetica si manifesta nel modo in cui esplora i desideri umani più universali, creando un senso di empatia e comprensione che trascende le differenze neurologiche.
La balbuzie, spesso vista come un ostacolo, diventa un elemento estetico e concettuale nelle opere di JJJJJerome Ellis. Poeta e performer, Ellis utilizza la balbuzie per ridefinire il tempo e il ritmo nella poesia. Nei suoi lavori, la pausa e il silenzio non sono vuoti, ma spazi carichi di significato. Ellis sfida il lettore e l’ascoltatore a riconsiderare le loro aspettative sul linguaggio e sulla comunicazione. La sua poesia enfatizza il valore dell’ascolto attento e della presenza, offrendo un’esperienza poetica che non è solo intellettuale, ma anche profondamente emotiva..
Chris Martin non è solo un poeta, ma anche un educatore che lavora con scrittori neurodivergenti per aiutarli a sviluppare la loro voce creativa. Nel suo libro May Tomorrow Be Awake, esplora il legame tra poesia e neurodivergenza, offrendo riflessioni su come il linguaggio possa essere adattato per includere prospettive diverse.
Martin dimostra che la poesia può essere uno strumento di inclusione e empowerment. La sua attività educativa non solo amplifica le voci neurodivergenti, ma contribuisce anche a una comprensione più profonda delle potenzialità creative di queste comunità.
L’intersezione con la cripistemologia (il sapere prodotto dalla disabilità e dalle sue forme di conoscenza alternative) permette di considerare la poesia neurodivergente non come marginale, ma come centro propulsore di innovazione linguistica. In questa prospettiva, la neurodivergenza non è uno stigma ma una forma di sapere incarnato, di epistemologia situata che interroga le norme del senso, della coerenza, della comunicazione.
La poesia neurodivergente, lungi dall’essere un sottoinsieme patologico o marginale della produzione letteraria, costituisce uno dei luoghi più radicali di interrogazione della soggettività moderna e postmoderna. Essa mette in crisi l’idea di normalità cognitiva, sovverte le aspettative del lettore e apre spazi di senso nuovi, eccentrici, potenti. Dalle fratture linguistiche di Rosselli alle visioni dissonanti di Artaud, dalla precisione dolorosa di Plath all’intensità somatica di Emerson, la poesia neurodivergente è al tempo stesso gesto critico e pratica estetica, sfida alla normatività e costruzione di nuove forme dell’essere.
In un’epoca che tende a medicalizzare il dissenso percettivo e a marginalizzare le forme non standard della cognizione, la poesia neurodivergente ci ricorda che esistono mondi linguistici altri, che la devianza non è solo sofferenza, ma anche possibilità creativa. La critica letteraria – e, in particolare, la critica poetica – è oggi chiamata a raccogliere questa sfida, riformulando i propri strumenti interpretativi per accogliere la pluralità delle menti, dei corpi e delle voci.


2 commenti
Flavia
Articolo molto interessante!
L'Altrove - Appunti di poesia
Grazie 💙