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Recensione: “Finché Dio ci vede” di Emanuel Carnevali | L’Altrove

Negli ultimi anni il nome di Emanuel Carnevali è stato oggetto di una rinnovata e singolare attenzione. Poeta di culto, oserei dire poeta per poeti, rimasto nell’oblio per molti anni dopo la morte, riemerse negli anni ’70 grazie alla sorellastra che ne curò una summa per Adelphi. Il volume conteneva Il primo dio, un’autobiografia romanzata, un’ampia selezione di poesie edite, articoli e testimonianze, rintracciate sulle riviste americane. La singolarità di Carnevali risiede proprio in questo, nell’essere un italiano che si scopre poeta in America e decide di adottare quella lingua al posto di quella d’origine, una peculiarità che lo rende vicino e lontano allo stesso tempo.

Fra le pubblicazioni più interessanti, oltre alla già citata di Adelphi, negli ultimi sei anni troviamo quelle di D Editore con i Racconti ritrovati e una versione “integrale” de Il primo dio; quella di ReaderForBlind con L’ultimo maledetto, la quale comprende il romanzo, racconti e lettere; e quella delle Edizioni Ares, Finchè Dio ci vede, poesie edite e inedite.

Quest’ultima raccoglie una selezione di poesie di Carnevali (alcune fino ad oggi inedite), tradotte dal poeta Daniele Gigli. Questa raccolta rappresenta, credo, il migliore approccio al Carnevali poeta; lontano dalla stucchevole nomea di poeta maledetto, avvolge il lettore nell’atmosfera viva di Carnevali, ribadendo un concetto che nel tempo mi sembra sempre più vero: per tradurre poesia occorre un poeta. E a volte nemmeno questo basta. Ci vuole il poeta giusto.

Da queste poesie emerge l’anima dell’”uomo sempre di fretta”, la spasmodica voglia di vivere, di recuperare il tempo perduto in inutili faccende per consacrarlo alla poesia. Nel leggere le sue poesie si ha davvero l’impressione che Carnevali sia nato ieri, sembrano le parole di qualcuno che vede il mondo per la prima volta, che sente per la prima volta; c’è una novità nella sua scrittura che travalica lo stile, è una novità dell’uomo. Certo, c’è il nuovo mondo, c’è New York in tutta la sua mostruosa novità rispetto all’Italia da cui proviene, ma è come se il poeta nascesse insieme a quel mondo, nello stesso istante. C’è la società contemporanea in tutto il suo anonimato, le brulicanti masse blu-nere-grigie che corrono verso lavori anonimi, ma allo stesso tempo c’è la tensione verso quel mondo, la volontà di farne parte felicemente, ingenuamente. E la sua poesia trasmette proprio questo, un raro senso di verità. Ecco, quando si supera lo scoglio dell’aspra critica, della rabbia inconfessata, resta un Carnevali nudo pronto a sacrificarsi, a piangere perfino, pur di essere accolto. E in fondo del maledetto non ha poi molto: Carnevali lotta con tutte le armi a sua disposizione (le parole) contro quel mondo che continua a rigettarlo. Il mondo butta fuori a calci il giovane Emanuel, e lui immancabilmente rientra dalla finestra.

Non che qualcuno capirà mai davvero (traduzione di Daniele Gigli)

Non che qualcuno capirà mai davvero
(io davvero capisco?)
ma
guarda qui, sono un grumo di carne malfatta
che
per tutta la nostra bruttezza ha sofferto
che
da ogni sogno di perfezione fu
illuminata.
Ora sto e starò su finché vivo
gridando!
Forse voi che dormite
vi sveglierete per un momento
forse la morte la finirà
di regnare così dannatamente
pacificamente
tra voi,
un momento.

A cura di Valerio Ragazzini.

 

L’AUTORE

Nato a Firenze nel 1897, Emanuel Carnevali è considerato uno dei più grandi scrittori statunitensi della prima metà del ‘900. Dopo un’infanzia difficile, passata tra cupi collegi e genitori malati, emigra negli Stati Uniti all’età di soli sedici anni. Pur vivendo quasi in miseria, passando da un lavoro all’altro, frequentando prostitute e malviventi, riuscì a partecipare, da straniero, al rinnovamento dell’avanguardia letteraria americana dell’epoca. Stringerà amicizia con diversi poeti e scrittori statunitensi, tra cui Ezra Pound, William Carlos Williams e Sherwood Anderson, che si ispirerà alla sua vita per il racconto Italian Poet in America (1941).
Muore a Bologna nel 1942 dopo aver passato vent’anni tra ospedali e pensioni a causa di una terribile encefalite letargica.

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