Le nostre interviste

“Per tutte noi”: Intervista a Maria Borio | L’Altrove

È uscito il 3 marzo Per tutte noi. La parola poetica delle donne un libro che contiene una selezione di poesie di autrici pubblicate dalla casa editrice Le Lettere nel corso degli ultimi anni. Si tratta quindi di una raccolta che presenta varie voci femminili, sicuramente differenti, ma allo stesso tempo accomunate dal desiderio di lotta per affermare se stesse nella società e nella letteratura.

Eavan Boland, Karin Boye, Diane Di Prima, Paola Silvia Dolci, Roberta Durante, Corol Ann Duffy, Margherita Guidacci, Ewa Lipska, Audre Lorde e Anne Sexton le poete presenti, a curare la prefazione del libro Maria Borio, poeta e saggista, che spesso ha affrontato il tema della poesia femminile e che per questo motivo abbiamo intervistato.

Grazie per la tua disponibilità Maria. Credi che la parola poetica delle donne sia più incisiva? In che modo è differente con quella degli uomini?

Più che farsi influenzare dal peso della natura e dell’identità biografica, si dovrebbe parlare del carattere di una poetica. Il carattere può prescindere in larga parte dal genere ed è un modo di guardare il mondo: affettivo/ cerebrale, empatico/ideologico, compassionevole/assertivo. La parola delle donne – come testimonia quest’antologia allestita da Le Lettere – ha aiutato ad aprire lo sguardo a trecentosessanta gradi sull’espressività umana. Questa parola ha affrancato la poesia dai limiti di genere, ma anche dalle formule strette di categoria, e ha fatto emergere il fatto che ciò che conta di un’opera si trova soprattutto nelle poetiche. Entriamo così nel cuore della letteratura e la vera letteratura trascende la biografia. Per questo, ad esempio, può capitare che sulla pagina possa esserci la penna di una donna dietro una sensibilità cerebrale e assertiva, convenzionalmente associata al maschile, così come dietro un carattere tenero e intimo, che in passato di solito era identificato con il femminile, potrebbe esserci la penna di un uomo. Nella letteratura di oggi i caratteri convenzionali sono sfumati, ma il problema dell’identità e del rapporto tra identità e storia sono esposti come qualcosa di autentico.

Sono diverse le poete antologizzate in questa raccolta. Cosa le accomuna?

Mi ha colpito la capacità di queste autrici di sapersi inserire nella storia ciascuna come una cometa o una fionda. Non sono mai immobili, ma attraversano la storia. Sono come chiavi di volta, si interrogano sempre sui rapporti tra passato e futuro, e li affrontano con un profondo senso di realtà, senza far implodere – o persino giustificare – il male umano in un nichilismo fine a se stesso. Niente è fine a se stesso in queste autrici.

Cosa ne pensi della costante esclusione operata dalla cultura patriarcale che ha da sempre relegato le donne ai margini del sapere?

Credo che la poesia abbia contribuito a trasferire i valori dell’emancipazione femminile da una sfera privata, in cui la donna – come autrice e come individuo sociale e politico – non aveva peso, a una sfera pubblica. La poesia, almeno nel suo campo, ha messo in crisi – in modo irreversibile – gli schemi di potere. E lo ha fatto in modo autentico, a partire dalle questioni fondamentali della vita. Anche la cultura patriarcale rientra fra le questioni fondamentali della vita. Una “cultura” è vitale se aderisce al suo tempo. L’aderenza della cultura patriarcale al tempo in cui viviamo (in occidente almeno…) appare piuttosto friabile. Stiamo attraversando una transizione epocale. Nel 2010 è stato coniato il termine “antropocene” per indicare l’epoca umana: il patriarcato ne fa parte e indubbiamente corrisponde anche a specificità e differenze biologiche nella nostra specie; tuttavia, visto in prospettiva – una lunga prospettiva, che ha come mira la dimensione del divenire – si va relativizzando. Esso dovrebbe saper guardarsi anche con un po’ di ironia, se non vuole ridurre l’uomo a una maschera di sé: l’“uomo forte” (riprendo il gergo del regime non a caso, ma potrebbe valere per ogni parte politica…) è chi accoglie l’equilibrio e lo alimenta. Un amico, un amante, un padre vero (realizzato) sa amare. Lo stesso vale per una donna o, meglio, uscendo dalle distinzioni di sesso, per ogni persona.

Citando la Woolf, deve esistere per la donna una stanza tutta propria per scrivere?

Ogni autore ha il mantello di una tradizione millenaria sotto cui può ripararsi, un bagaglio di letteratura sul quale anche ogni autrice si è formata. Un’autrice può dire di avere delle maestre solo pensando a tempi relativamente recenti, ma se scava indietro nei secoli le è dato di amare personaggi femminili, non scrittrici. Ogni donna coltiva silenziosamente un lunghissimo passato, attraversa il presente come una cometa che brucia nell’atmosfera e si proietta al futuro. Questo stato corrisponde, forse, all’atmosfera della stanza di Virginia Woolf. Ti dirò che oggi si tratta di uno stato che autrici e autori condividono. La “stanza tutta per sé” è diventata una condizione epocale.

“Donne in poesia”, la raccolta di Biancamaria Frabotta, ha segnato una svolta nell’ambito letterario italiano. Pensi sia ancora utile o necessario parlare di donne in poesia o di poesia al femminile, facendo quindi una distinzione con quella al maschile?

Il lavoro di Biancamaria Frabotta ha affermato che non solo la specificità di genere è degna di attenzione letteraria, ma che un’autrice ha uno statuto personale, sociale e quindi storico, che va oltre l’identità di genere. Negli anni Settanta sostenere – e combattere – per il riconoscimento di questa prospettiva non era scontato. Come ho detto prima, penso che oggi occorra guadare alla ricerca espressiva di una poetica, al suo carattere autentico, indipendentemente dalla biografia che c’è dietro. La “natura” non è solo quello che vediamo fuori, ma anche dentro; non solo corpo, ma anche visione; non solo biologia – o genere -, ma anche immaginario. La natura è la parte fisica più essenziale che abbiamo, ma essenzialmente anche la più metafisica. Apriamo a trecentosessanta gradi lo sguardo sull’espressività umana.

E all’estero? Come viene intesa la poesia scritta dalle donne?

Mi limito a rispondere dalla prospettiva della cultura anglosassone. Questa – fondamentalmente di matrice protestante – è più attenta alla dimensione pratica, o pragmatica, del fare, del creare, del pensare. Idea e gesto vivono tendenzialmente in un rapporto di onestà reciproca: si chiede alla prima di corrispondere autenticamente al secondo, e viceversa. Se ciò non accade, la responsabilità fa capo all’individuo, la giustificazione da parte della comunità è labile. Quanto ho detto è, ovviamente, una generalizzazione, ma credo che possa aiutare a comprendere perché il femminismo e i gender studies nascono e si affermano in modo notevole in area anglosassone. Provo a parlarne con un esempio sommario: dietro a una poesia scritta da una donna e una poesia scritta da un uomo giace l’idea di un io che si esprime, che porta la sua esperienza sulla pagina; questa esperienza riguarda l’autrice e l’autore come un’azione la cui espressività – di qualsiasi tipo estetico – coinvolge, pragmaticamente, il suo essere-nel-mondo, il senso (o, anche, non sense) della sua parola e della vita. Quando Shakespeare fa dire ad Amleto “To be or not to be” apre a un’esposizione totalizzante del chi siamo, al problema di un’identità radicale tra il chi siamo e il che cosa diciamo e facciamo, quindi anche a un’idea di società in cui le persone hanno una percezione di se stesse che le coinvolge in modo più frontale e drastico, persino violento (rough), in confronto a società in cui la comunità assolve più funzioni e ha più prestigio rispetto al valore del singolo di per sé. Tutto ciò ha anche molti limiti, ma, in questo contesto, ghettizzare un testo scritto da una donna in un ambito esclusivamente “femminile” e, soprattutto, esercitarvi un potere (patriarcale) è un’operazione il cui significato fa meno presa sulle coscienze. La “stanza tutta per sé” della Woolf non va vista solo come lo spazio dell’atmosfera creativa di una donna, perché è molto più vicina al “to be or not to be” di quanto si possa immaginare: è una riflessione sull’autenticità, di fronte alla quale il valore di un testo scritto da una donna e quello scritto da un uomo si confrontano in modo paritario. Sul terreno dell’autenticità i gender studies, inevitabilmente, si sono diffusi e affermati.

Di seguito due poesie tratte dal libro:

Le donne di Eavan Boland

È questa l’ora che amo: l’ora intermedia,
né di qui né di là della sera.
L’aria in giardino ha il colore del tè.
La rosa selvatica è una traboccante crèpe-de-Chine.

È questo il momento in cui lavoro meglio,
salgo le scale in due stati d’animo,
in due mondi, portando stoffa o vetro,
lasciando giù qualcosa, prendendo con me
qualcosa che avrei dovuto lasciare giù.
L’ora del cambiamento, della metamorfosi,
delle instabilità che mutano forma.

Il mio momento del sesto senso e della seconda vista
quando nelle parole che scelgo, nei versi che scrivo,
loro mi appaiono davanti come visioni:

donne di lavoro, di piacere, della notte,
vestite di seta del color della stufa, di pizzo, di nulla,
con aghi da ricamo, con libri, con gambe spalancate

che fuggirono dal fiato caldo del dio alle calcagna,
che scapparono dallo zoccolo fesso e dalle labbra carnose
e caddero e piansero e rifiorirono nel mito,

dentro di me la sera al mio scrittoio
mentre mi cimento con un dolce quartetto,
la forza fisica di una dissonanza –
la fissione della musica in calore sillabico –

mi viene a noia e mi alzo
e vado giù nell’ultima luce

in un paesaggio senza enfasi,
leggero, lineare, pianificato con precisione,
un emisfero di cotone a strati, arieggiato,

un terreno di biancheria calda dal ferro
piegata e ripiegata, una pila alta
stirata, ordinata, che emana calore, e biancore.

da Tempo e violenza, 2010.

La conchiglia di Margherita Guidacci

Non a te appartengo, sebbene nel cavo
Della tua mano ora riposi, viandante,
Né alla sabbia da cui mi raccogliesti
E dove giacqui lungamente, prima
Ché al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile.
Io compagna d’agili pesci e d’alghe
Ebbi vita dal grembo delle libere onde.
E non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise.
Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora
Assiduamente e ne sospira la mia anima marina,
Mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma
E stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero.

da Paglia e polvere, 1961.

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