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“Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno”, intervista a Filippo Kalomenìdis | L’Altrove

Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno è un motto, forte, è un invito, un grido di lotta, un coro, un canto. È una raccolta, poetica, attiva, rivoluzionaria, di cui abbiamo bisogno, necessaria per ognuno. In queste tutti, in ogni ciascuno è presente non solo la realtà italiana, in particolare nel suo ultimo cinquantennio, ma siamo presenti noi, la nostra individualità, compromessa e distrutta da fattori interni ed esterni, da dinamiche forse inimmaginabili che nel giro di poco hanno portato alla perdita di umanità e di comunità, svuotati della nostra propria essenza.

Ecco dunque come questo libro raccoglie cinquanta storie diverse di umani in rivolta, contro il totalitarismo, contro chi tortura e uccide, ed è Filippo Kalomenìdis con il Collettivo Eutopia a dare voce a queste donne e a questi uomini e Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno serve a ricordare ognuna di esse, affinché non possano essere dimenticate, per inventare una società profondamente diversa.

Il libro uscirà il 28 ottobre per DEA Edizioni e per l’occasione abbiamo incontrato l’autore e con lui vogliamo approfondire il tema del progetto e la sua realizzazione.

Grazie Filippo. Come nasce “Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno – Canti contro la guerra dell’Italia agli ultimi”?

Nel dicembre del 2020, ero appena rientrato in Italia dai campi di concentramento, dai lager per migranti dell’Unione Europea a Lesvos. Alle prese con l’editing del mio precedente libro di versi “La direzione è storta”, ero chiuso nella casa al mare di un’amica. In quarantena, dopo il viaggio in piena emergenza pandemica. Lì ho capito che “La direzione è storta” era un inizio, non un’origine. Per dirla con Edward Said, «uso la parola inizio con significato attivo, e origine con uno più passivo: quindi “X è l’origine di Y”, mentre “l’inizio A conduce a B che conduce a C». Volevo scrivere un’altra opera-esperienza, un libro ‘da incontrare’ e non soltanto da leggere, volevo riscrivere dal basso (dal punto di vista dei reietti, degli ultimi) la «storia bruciante», per citare Tucidide, e rimossa di questo tempo e di questo Paese. Volevo farlo attraverso le vite cancellate – dalla violenza capitalistica e liberale e dalla repressione dello stato italiano – di combattenti rivoluzionari, militanti politici, migranti del sud del mondo, omosessuali, transessuali, cosiddetti ‘instabili psichici’, reclusi nella malattia, prigionieri nei lager per stranieri, nei lager psichiatrico-giudiziari e nelle eterne, indiscutibili carceri. Volevo compiere un viaggio interiore, una discesa nell’inferno italiano, tra queste anime meravigliose e ridare loro voce. Ma non da solo. Volevo viverlo con altre autrici e altri autori, così ho coinvolto un gruppo di allievi che si sono uniti nel Collettivo Eutopia. Ci siamo scaraventati alla ricerca di una scrittura autentica che uscisse dalla dimensione di scrittura cartacea e fosse scrittura di sangue. Una scrittura che nasce dall’amore e dalla rabbia, intesi come capacità di sentire l’altro e di sentire con l’altro. In un presente dove sentire e ricordare è proibito. Dove ogni giorno la ‘pace’ uccide gli ultimi. Per questo ci siamo espressi con versi, dialoghi, prose poetiche, e brevi brani teatrali per abbracciare 50 donne e uomini insorgenti e resistenti, assassinati – tra tantissimi altri – nei 52 anni di storia italiana dal 1969 al 2021.

Quanto la poesia può essere rivoluzionaria?

Quella che definisco “poesia della differenza” è sempre sovversiva. Sorge nella capacità di ascoltare il silenzio, l’amore, e il caos. Prende forma nella memoria attiva e nel rimpianto dell’Età dell’Oro interiore (per evocare Esiodo) di ciascuno di noi, oppure nella «Gioia di Prima» (per evocare il Corano). Respira nell’epica e in una voce che pronuncia solo parole appropriate, differenti. Differire in latino significa portare altrove temporalmente, rimandare, quindi staccarsi da questo eterno presente infame per creare un altro tempo, un tempo in cui dare vita a un mondo possibile. Differire significa ‘essere altro’ dalla massa di schiavi volontari e di prescelti assassini che ci circondano, essere consapevoli e forti del proprio ‘essere altro’. Nella scrittura, la differenza è sottrarre, quindi usare solo le parole più affilate, taglienti, precise, pure, autentiche (αὐϑέντης, per gli antichi greci «che opera da sé»). La poesia della differenza può sconvolgere l’esistenza di chi la incontra, e scuotere dalla rassegnazione all’orrore del sistema che tormenta le nostre vite ogni istante.
Le parole possono lottare, possono combattere ma devono essere necessariamente parole potenti. La potenza si trova nel coraggio brechtiano di scrivere la verità.

Filippo, come riesci a conciliare scrittura e attivismo?

Preferisco parlare di militanza politica, di sovversivismo, e non di attivismo. Attivismo è una parola totalmente vuota e debole in quest’era disumana. Cerco di porre alla base della mia vita la militanza politica e la militanza poetica. L’essere umano dovrebbe vivere nel contatto con la poesia, la poesia dell’esperienza diretta ossia la poesia ‘agita’, la poesia della potenza di vita, e la poesia ‘incontrata’ ossia quella scritta o quella che ci travolge in ogni espressione artistica. Attenzione, quando parlo di vita intendo costruzione di una nuova vita, non del sopravvivere atroce che riguarda ciascuno di noi e che chiamiamo impropriamente ‘vita’.

Gli autori presenti nel libro presentano la propria voce poetica, la propria visione della realtà. L’unione di esse cosa ti provoca?

Siamo stati un gruppo in fusione e abbiamo scritto pagine polifoniche e al contempo compatte. In un’epoca di individualismo apocalittico, di solitudine assoluta, siamo stati un “noi”, una pluralità. Un’esperienza rarissima che solo la scrittura collettiva può dare tanto agli autori, quanto ai lettori. Un processo creativo così radicale che ci ha immerso nella reciproca bellezza, in emozioni estreme, a volte anche terribilmente dolorose e laceranti, ma che ci terrà per sempre legate e legati le une agli altri. Per quel che mi riguarda ho provato gli stessi sentimenti solo nell’attività di volontario durante la pandemia, nei lager per migranti, o poco più di vent’anni fa nelle giornate in piazza più entusiasmanti, feroci, colme del senso di comunità, nella tumultuante fase della lotta alla globalizzazione liberista. Quindi la mia gratitudine è infinita nei confronti di tutte le compagne e di tutti i compagni di scrittura, e di coloro che ci hanno aiutato e sostenuto.

E di questi tempi che stiamo vivendo che mi dici? Come si pone l’intellettuale?

Alla prima domanda, rispondo ponendo evidenze, purtroppo invisibili ai più: siamo alla fine del capitalismo definitivo, conclusivo, ovvero di quel capitalismo e di quei regimi democratico-liberali occidentali e coloniali (sarebbe meglio chiamarlo totalitarismo liberale) che hanno preso forma nello scorso secolo e che hanno perpetrato e perpetrano genocidi nel Sud del mondo, con dedizione superiore persino ai colonialisti delle origini. L’interrogativo è “quanto durerà quest’agonia dell’Occidente, del Nord Bianco, tra pandemie, guerre, devastazione sociale, culturale, depressione e deprivazione identitaria di massa, individualismo apocalittico e distruzione del pianeta?”. In Italia questa percezione – che altrove, nel sud del mondo, esiste – non c’è. Anche per i dissidenti è più facile immaginare l’estinzione della specie umana che la fine del capitalismo. Da qui la rassegnazione, schemi di lotta stanchi, e il pensiero inconsapevolmente razzista che la dissoluzione della civiltà occidentale sia la dissoluzione di ogni cosa. Per fortuna non lo è. Quando capiremo che coloro che tentano di governarci sono ‘crudeli malati terminali’ avverrà il tanto atteso scarto. Non difenderemo più la nuda vita, non sopravviveremo, ma abbracceremo una ‘vita altra’. Tanti ventenni ci stanno arrivando anche alle nostre latitudini. Confido in loro.
Quanto alla seconda domanda: se non agisce nel segno della sovversione culturale, poetica e politica, l’intellettuale è uno sterile detentore di sapere. Per questo tra i contemporanei italiani, occorre avere come riferimento e leggere, incontrare opere-esperienza fertili come quelle di Barbara Balzerani, di Antonio Moresco, di Franco Bifo Berardi e, nella poesia, di Sante Notarnicola e Livia Candiani, con tutte le diversità di approccio teorico e di scrittura del caso.

Secondo te, la parola fa rinascere?

Se non lo credessi, non avrei nemmeno immaginato di scrivere una “Spoon River Anthology” contemporanea, animata da una “spiritualità politica”, e non avrei avuto come riferimento di dialogo con delle anime un capolavoro come “Specchi degli Angeli” di Ibrahim Nasrallah.

Dalla postfazione di Barbara Balzerani:

«Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra, ecc. Solo pochi di questi modi sono proibiti dallo stato».

Così ci ha lasciato s critto Bertolt Brecht nel secolo scorso e mai smentito. Nelle poche righe della sua poesia è racchiuso il senso di quest’opera di Filippo Kalomenìdis e di Eutopia che mi onoro di commentare.

Tante le qualità di queste pagine. Per la ricercata forma da sce neggiatura lirica a più mani, a testimonianza di un accurato lavoro collettivo e della condivisione di principi di una giustizia altra. E per la traccia del racconto che non lascia adito a cadute nel vittimismo. Il profondo rispetto per le persone nominate e per la loro orrenda sorte ha fatto sì che s ia no descritte nella dignità di chi ha pagato con la vita una scelta di libertà. Di chi fino all’ultimo ha agito le proprie convinzioni e non subìto quelle imposte dal potere dominante.

Tante le storie narrate. E tutte ci appartengono. Capaci come sono di farci rimanere attaccati al filo del racconto con amore, dolore e rabbia.

BIOGRAFIE

Filippo Kalomenìdis, 1976, figlio e nipote di profughi, ha origini sarde, greche, georgiane e turche. Scrittore, militante politico, docente di scrittura, insegna al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Nel 2021 ha pubblicato La Direzione è Storta, Reportage lirico sul Covid 19 e i virus del Potere (prefazione di Barbara Balzerani; Edizioni Homo Scrivens) che racconta la sua esperienza di volontario tra i malati di Covid a Bologna, e nei campi profughi di Lesvos in Grecia. È stato sceneggiatore per il cinema (nel 2009, ha scritto il film Io sono con te per la regia di Guido Chiesa) e autore di serie televisive (tra le altre, Il grande gioco in prossima uscita su Sky). Nel 2004 ha vinto il Premio Franco Solinas.

Eutopia è un collettivo artistico e politico impegnato nella lotta contro la disumanizzazione del nostro tempo, contro la guerra dell’Unione Europea ai migranti; schierato col popolo palestinese e coi popoli oppressi; e dedito alla creazione di gruppi creativi che realizzano opere letterarie e teatrali.

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