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Recensione: “Cedere: e altre cose dette d’amore” di Alessandro Ardigò | L’Altrove

Cedere di Alessandro Ardigò è una raccolta in cui sprofondare, cadervi dentro e riemergervi forse cambiati, con nuove consapevolezze.

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Ci si arrende all’amore? perché la raccolta è essenzialmente amorosa, bisogna chiedersi, si indietreggia e si cede di fronte ad esso, alla sua forza potente?
Cedere o cadere, una sola lettera di differenza, una sottile linea di confine tra i due termini.
Ardigò descrive il cedere del suo mondo, dell’Io, in una realtà rumorosa, aggrovigliata. Eppure tra le voci le parole si spengono, dice più volte l’autore, come a voler rimarcare la violenza del reale, che copre e sottomette il poeta. Il silenzio creato è tuttavia disadorno, un silenzio semplice o quasi misero e squallido, un affronto come il piacere che sta nel nulla o è il nulla il piacere.
Le parole sono spente, dunque, c’è incapacità nell’esprimersi, nel capire perfino il linguaggio parlato o scritto.

Poi, oltre il segno
un nulla d’afasia.

La poesia successiva a quella sopra invita a ritrovare un nome nuovo, chiaro, come l’aria. Che serva forse a riprendere la parola e a non-cedere?
Anche il poeta è una piccola vergogna, umiliato dalla propria vanità? È un vate che ha perso il suo splendore, che non sa formulare oracoli, non più animato da uno spirito profetico.
Persa la parola, persa la sacralità. La poesia non chiede cerimonie, ma sta lì quieta, si nasconde pure dove non si immagina, una poesia che non ha nemmeno bisogno di essere scritta:

Ascolta.
C’è una poesia,
se sollevi le lettere
e togli via l’inchiostro.

Dopo Il piacere, la prima parte della raccolta, intervallata dalle splendide fotografie di Eugenio Tonoli, si apre Amorose.
A far da padrone è qui l’amore, come ben s’intende. È una poesia dai tratti sensuali ed erotiche, per poi sfociare nell’attaccamento vivo verso la persona amata. C’è l’assenza prepotente, l’autore chiede le prove di un amore

Prova che mi ami.
Cercami tu.


Perché non mi riguardi, non vedi ch’io
ti guardo?


Un folle dolore è amare l’assenza.

Amore e violenza, connubio strano, cromatismo acceso. Siamo a metà tra lirica romantica e l’opposta forza estrema, violenza che si fa dolore, che fa a pezzi.

In Elementari, invece, le poesie somigliano a degli Haiku sulla natura. Attraverso la descrizione di goccioline, foglioline, piantine e ranocchie, Ardigò ci sorprende con queste immagini che un po’ vanno in contrasto con le poesie precedenti e sembrano gli unici momenti in cui cedere è in realtà un sottrarsi dalle brutture per affidarsi alle bellezze naturali della realtà.

La raccolta continua con Pianeta Coma, Pezzi e Ritorno. La prima appare in un primo approccio come la ricerca di un altrove, di una città invisibile, per poi sfociare in momenti più nostalgici, via via più dolorosi, dove l’Io incontra l’Altro o se stesso in dolore, in sofferenza.

Pezzi si apre con un’introduzione — presente tra l’altro in tutte le sezioni — in cui l’autore scrive: «Che cosa c’è nell’Io che proteggi nell’Io c’è solo il Niente». Il niente che ritorna anche nel presente, un io che vorrebbe trovare il suo posto Ma che invece rimane inetto, inerme in un presente che è solo illusione, in cui la realtà non concede vie di scampo.
Ritorno contiene poche poesie, cinque. Un ritorno all’origine del titolo del libro, al Cedere.

La poesia di Alessandro Ardigò è sensibile all’umano che si muove nel reale, nel presente e nel suo passato. C’è da scomparire in questa profondità mostrata, c’è da cedere il passo al poeta e seguirlo.

Così seppi
che solo là dove si cede
ci può essere l’amore

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L’AUTORE

Alessandro Ardigò (1982) è docente di Lingua e Letteratura italiana e dal 2017 è responsabile della rivista di humanities RadiciDigitali.eu. Per Eretica edizioni ha pubblicato Prosimetro Moderno (2020), finalista del premio internazionale Apollo Dionisiaco, Roma 2021.

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