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Su “Soglie” di Massimo Del Prete | L’Altrove

Soglie, lessema sinonicamente polisemico raffigurato nel 1993 all’interno del Dizionario della Lingua Italiana, come una porta, un ingresso, un limite e allo stesso tempo però nella poesia si carica di un significato metafisico, filosofico, spirituale ed esistenzialistico com’è dimostrato nel 2018 all’interno dell’opera d’esordio Soglie del giovane poeta Massimo Del Prete nato a Taranto nel 1993 e da anni residente a Milano, per motivi di studio.

Soglie, quelle del poeta tarantino, che ci mostrano il cammino della Vita dall’embrionale oceano materno alla Morte in cinque sezioni: Qualche esempio, La salita, Gli attimi minimi: un corollario, Zoom e Il passo che precede. Sezione, la prima, in cui la Vita all’interno dell’embrionale oceano materno è concepita come una confusa, assurda e chimerica energia entrante a sua volta in un’altra Vita embrionale animata da tediose consuetudini, angoscianti parole, cadaveriche carezze, ma in particolar modo da assordanti melodie istruite. Chimerica energia qui descritta dalle carnali sembianze con sguardi ansiosi, sciocchi e impauriti perché spiritualmente deboli innanzi a cristalline verginità colme di innocenti puerizie. Sguardi, questi, rappresentati come luci eternamente conflittuali con parole partorienti arcaici vagiti esistenziali e sanguigne fratellanze etico-sociali, che si oscurano nella moderna società animata da false intellettualità e sessiste melodie kitsch. Energia che esce dal suo embrionale oceano materno, per nascere come una creatura carnale tuffandosi attraverso la seconda sezione nella moderna esistenza terrena animata da crucciosi e villani sapori, droganti spiritualità, streganti profumi e vampiresche carezze, ma in particolar modo da fugaci passi confluenti nella terza sezione, ovvero passi oceanicamente burrascosi che strozzano gli amori e annegano le reminiscenze, per partorire accecanti cristallinità immerse in brumosi sogni. Attimi esistenziali, tutti questi, che si muteranno nella quarta sezione in fotografie incolori rappresentanti decrepite esistenze animate da depravate sessualità, chimeriche puerilità, umide vocalità, ubriache membra e incerte spiriti naviganti su oscuri, demoniaci, cimiteriali e spettrali oceani dove l’Amore è solo una dolce nostalgia reminiscenziale in decomposizione, ma in particolar modo concepiti dal giovane poeta tarantino come il lasciapassare per l’incontro con la sorella Morte nella quinta e ultima sezione. Morte da esso rappresentata, come un immenso cosmo accogliente gli spiriti dei terreni figli con nervose e cineree tempeste sacrificanti le terrene membra, in magici tabernacoli. Cosmo in parole più semplici, come un Mondo animato da vacue e velenose futilità mutanti le ardenti, palpitanti ed estreme frenesie terrene in brumose reminiscenze per noi lontane, emarginate, abbandonate ed estranee, ma in particolar modo in spaventose depravazioni etico-sociali. Sorella Morte infine sì dall’affetto burrascoso, dallo spirito tirannico, dalle carni soffocanti e dagli sguardi accecanti, ma allo stesso tempo dalla divina, luminosa e balsamica voce capace di farci risorgere intellettualmente per farci ricominciare da capo nel cuore dei terreni fratelli accarezzandoli, coccolandoli e ubriacandoli di puro Amore in quanto figli tutti dell’Altro Celeste rappresentante l’unica ed eterna soglia da conquistare.

A cura di Stefano Bardi.

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