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“Dizionario critico della poesia italiana”. Intervista a Mario Fresa | L’Altrove

La poesia italiana del secondo Novecento

Il secondo Novecento è, senza dubbio, un periodo in cui si intrecciano voci poetiche differenti e in egual modo importanti.
Si assiste, nella prima parte di esso, negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra, ad una rinascita sociale e materiale che va a coincidere con quella culturale ed intellettuale. La produzione poetica di quel periodo è molto ricca, ma non si caratterizza da tendenze particolari, come accade invece negli ultimi anni dell’Ottocento o nei primi del Novecento con il Decadentismo, il Futurismo e l’Ermetismo. Proprio da quest’ultimo movimento, la poesia del secondo Novecento prende le distanze, i poeti si fanno onesti, Saba, Penna, Caproni sono l’esempio di una poetica che si approccia al reale, chiara e che va a contrapporsi al lirismo di D’Annunzio e Pascoli. L’originalità di questi toni, della sovversione della metrica, dei temi, del rapporto tra poeta e opera, si nota già in Pavese e nelle sue raccolte.

Dopo il boom economico, durato più o meno un ventennio, si fa spazio la società di massa, consumistica, con i suoi contrasti e l’attenzione del poeta di sposta verso nuove problematiche: lo squilibrio fra ricchi e poveri, il capitalismo e il suo potere che porta l’individuo, non più uomo, ad essere un ingranaggio tra i tanti nella macchina industriale (in Nelo Risi, in Franco Fortini). Ed ancora, le vicende politiche, ’68, gli anni di piombo, le crisi economiche raccontati da Luzi, Balestrini e Pasolini.

Dagli anni settanta emerge una poesia più confessionale ed esistenziale con autori come Amelia Rosselli. Tematiche che perdureranno anche negli anni successivi con Giovanna Sicari, Jolanda Insana, Alda Merini e Bianca Maria Frabotta alla quale si deve la nascita di Donne in poesia, la prima antologia italiana della poesia femminile dal dopoguerra ad oggi.
Sono anni di sperimentazioni, di continue variazioni, in cui si ricerca l’oralità, la teatralità (Valduga e Cavalli), l’umorismo e il no-sense e un ritorno al dialetto con Loi, Guerra e De Vita.

Il Dizionario critico della poesia italiana

Il Novecento, come ben capiamo, è un secolo complesso e pieno di fermento culturale. Un secolo che porta lo studioso, il critico o l’appassionato ad indagare maggiormente su tale complessità per riuscire a fornire un quadro d’insieme. In questa direzione si è mossa l’opera, che si può quasi definire monumentale, uscita per la Società Editrice Fiorentina a maggio di quest’anno.
Si tratta del Dizionario critico della poesia italiana, una guida che con più di duecento pagine fornisce approfondimenti, schede, saggi brevi, citazioni e informazioni bio-bibliografiche.

Non un’antologia, quindi, ma una vera e propria analisi di quello che è stato un periodo culturale tra i più interessanti della storia della letteratura. Un valido strumento di consultazione che ha impegnato circa cinquanta redattori e che dimostra attenzione e una cura ai dettagli non indifferente.
Le voci analizzate sono appunto quelle del secondo Novecento, dalla A di Accocca fino alla Z di Zeichen, passando per Erba, Porta e Sanguineti.

Per conoscere meglio l’opera e il lavoro dietro di essa, abbiamo voluto intervistare il suo curatore, Mario Fresa. Critico e poesia, Fresa ha collaborato con le maggiori riviste italiane, tra i suoi ultimi libri di poesia: Uno stupore quieto (2012); Svenimenti a distanza (2018); Bestia divina (2020).

Com’è nato il Dizionario critico della poesia?

Il dizionario nasce da un mio personale archivio-schedario (iniziato vent’anni fa), zeppo di ricerche, note, recensioni, appunti, saggi e interventi – sia editi, sia inediti – dedicati a moltissimi poeti italiani del secondo Novecento (con un particolare riguardo nei confronti di quelle voci spesso dimenticate o comunque assenti dai repertori ufficiali o dalle antologie più diffuse). Lo schedario costituiva il tentativo di un’analisi sistematica della situazione della poesia italiana del secondo Novecento ed è stato il punto di partenza, la base per la stesura e per la “costruzione” del dizionario critico.

Qual è l’intento principale?

L’intento è stato quello di disegnare una mappa fondamentale, una guida e un primo avviamento orientativo che possano permettere ai lettori una conoscenza essenziale delle opere dei principali protagonisti della poesia italiana del secondo dopoguerra, ma anche di quei poeti che il pubblico ha conosciuto poco o che ha troppo velocemente dimenticato. Chi vuole leggere, analizzare e comprendere la poesia italiana contemporanea non può certo evitare di studiare poeti imprescindibili come Zanzotto, Sanguineti, Erba, Fortini, Rosselli, Giudici. Ma pure, vi sono grandi e grandissimi nomi di poeti che non poche antologie (e non parlo di quelle scolastiche, sempre molto limitate e propense alle orrende semplificazioni della parafrasi) continuano a trascurare: penso a Bellintani (scrittore straordinario e ancora troppo poco studiato o menzionato), a Cesarano, a Jolanda Insana; penso a narratori-poeti di eccezionale intelligenza come Ottiero Ottieri, Gesualdo Bufalino, Tommaso Landolfi, Elsa Morante. Poi, vi sono i “fantasmi”. Figure forti, originali, di rilevante solidità poetica che sono ancora ignorate da moltissimi lettori. Qualche nome: Giuseppe Piccoli, un poeta dalla lingua lucidamente inconsueta, vertiginosa, spiazzante, forse poco ricordato o pubblicato anche a causa delle sue infelici e tragiche vicende biografiche; Salvatore Di Natale, ancor oggi restìo a pubblicare e ignorato dai più (aveva esordito in un quaderno collettaneo dell’Einaudi nel 1983; e da allora è… sparito); la mirabile e commovente Claudia Ruggeri; e poi Lucio Piccolo, Luciana Frezza, Tiziano Salari, il sensibilissimo Marco Amendolara (quasi del tutto dimenticato, soprattutto dai suoi concittadini), Daria Menicanti, Rodolfo Quadrelli (il nemico degli “intellettuali potenti”…). La lista è lunga…

Quanto tempo ha impiegato per completare un’opera del genere?

La stesura del primo lemmario risale al 2013. A partire da quell’anno, ho lavorato a una sessantina di schede critiche (incessantemente ripensate, modificate, aggiornate, irrobustite). Poi ho iniziato a chiedere ulteriori interventi e approfondimenti ad alcuni poeti-critici di consolidata esperienza che hanno accettato di costituire un vero e proprio comitato di redazione: tra gli altri, Cucchi, Bertoni, Lucrezi, Perilli, Fontanella, Manitta, Marchetti, Piscopo, Venturini, Gaita, Aglieco, Pierno, Salari, Rondoni, Zattoni, Corsi, Caterini, Borio…

Quale criterio avete adottato nella scelta dei poeti?

Sono stati inclusi i poeti che abbiano esordito in volume a partire dal 1945. La scelta dei nomi è stata fondata non solo sull’evidenza oggettiva e incontestabile di determinate figure (quale dizionario dedicato alla poesia italiana contemporanea potrebbe evitare di parlare di Fortini o di Porta o di Raboni o di Cucchi?), ma anche sulla base di un principio che ho già esposto prima e che potrebbe apparire rischioso o contestabile (me ne assumo, comunque, l’intera responsabilità): e cioè il desiderio di rintracciare e di ricordare alcuni poeti non adeguatamente riconosciuti o celebrati.
Un problema non vicario è stato, poi, quello dello spazio da dedicare ai più giovani. Ho escluso, per ora (non ritengo impossibile un futuro aggiornamento del dizionario) la presenza dei trentenni. Ci sono, certo, validissimi nomi tra i nati negli anni Ottanta e Novanta (penso, ad esempio, a Federica Giordano: a mio avviso, la migliore voce poetica della sua generazione); ma riterrei avventato, oggi, il tentativo di “storicizzare” i loro lavori e di fare il punto sulle caratteristiche della loro identità poetica (ancora in fase di evoluzione e di maturazione). I nati negli anni Sessanta e Settanta presentano, al contrario, personalità ormai consolidate e sicure. Molti di essi meriterebbero una maggiore visibilità: Sonia Lambertini (una delle voci poetiche più originali e sorprendenti degli ultimi anni), Francesca Moccia, Stelvio Di Spigno, Jacopo Ricciardi, Alessandro Canzian, Francesco Osti, Sandro Montalto… Il loro cammino è ancora lungo, ma già ben delineato.

Qual è stata la difficoltà maggiore che avete incontrato?

Non ricordo di aver incontrato specifiche difficoltà: i redattori hanno lavorato in modo impeccabile. Anche la scelta della casa editrice si è rivelata felice e affatto priva di complicazioni: ho trovato in Massimo Ciani, direttore della SEF, un editore di alta competenza e di straordinaria professionalità.

Un lavoro prezioso che ha coinvolto molti specialisti del settore, eppure vuole essere un testo di consultazione anche per i “non addetti ai lavori”. È così?

Il dizionario è rivolto a studenti, a specialisti e a cultori della poesia: ma pretende consapevolezza e studio. Sia chiaro: il libro non offre scorciatoie, parafrasi, riassuntini o strade “facilitate” (non è un manuale scolastico) ed è sconsigliato a coloro che identificano i canzonettisti e i cantautori con gli autentici poeti.

Che ruolo ha, secondo lei, la poesia al giorno d’oggi? E il poeta?

Oggi, più che mai, sono convinto che il poeta debba continuare a «donner un sens plus pur aux mots de la tribu». Lo studio attento della poesia (uno studio privato, personale, s’intende: lasciamo perdere ciò che si disimpara a scuola…) potrebbe liberarci, con la potenza sovvertitrice del suo dire alto e altro, dalla banalità e dalle volgarità del linguaggio mediatico, politico, economico.
Lo strumento della poesia è prezioso, perché intelligentemente pericoloso: pensa con profondità (e si ostina a chiedere al lettore di pensare con altrettanta profondità); e serba sempre più domande che risposte.

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