Giovani Poeti

Giovani poeti: Fabrizio Pelli | L’Altrove

Quest’oggi ospitiamo Fabrizio Pelli, giovane autore – è nato nel 2001 – di Reggio Emilia.

Fabrizio non è nuovo nella scena poetica italiana perché suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e siti web e nell’aprile del 2022 ha pubblicato la raccolta di poesie Il privilegio della veglia (Controluna Edizioni) ed è entrato tra i venticinque semifinalisti del Premio Campiello Giovani 2022. Inoltre fa parte della redazione della rivista letteraria Enne2.

Abbiamo rivolto a Fabrizio alcune domande, per conoscerlo meglio e lui ci ha gentilmente risposto. Ecco la nostra intervista:

Puoi dirci com’è nata la passione per la poesia?

Tutto nasce da un compito per casa che una professoressa mi ha assegnato in seconda superiore: scrivere una poesia in due settimane. La prima stesura non era pronta fino a mezz’ora prima della consegna. Poi la professoressa ci ha chiesto di alzarci in piedi uno a uno, e di recitare i nostri elaborati davanti alla classe. Durante la lettura ho sentito un piacevole senso di adempimento. Il giorno dopo ne ho scritta un’altra, e leggendola a mia madre ho provato la stessa sensazione. E così il giorno successivo e il successivo ancora.

Ezra Pound disse: “Non usate alcuna parola superflua, alcun aggettivo che non riveli qualcosa.” Cosa ne pensi? Qual è la tua idea di superfluo in poesia?

Credo che il ruolo del poeta sia quello di guardarsi intorno e di rendere un’immagine amplificata delle cose. Come se indossasse un paio di occhiali, al posto dei vetri un filtro, e potesse vedere i colori più saturi e le forme esagerarsi in strampalate caricature. Il superfluo è la macchia sulla lente, che non impedisce al messaggio di arrivare, ma lo rovina.

C’è una tua poesia, tra quelle che leggeremo, che senti più tua rispetto alle altre?

Le ho pensate come se fossero i tre movimenti di una sonata: non si possono considerare brani a sé. Pertanto, no: le considero un unico testo, profondamente mio.

Quale poeta dovremmo assolutamente leggere e perché?

Dylan Thomas. Non penso mi abbia influenzato nel senso stretto del termine, ma mi ha reso felice, questo senz’altro. Di certo mi ha insegnato che le immagini non devono sempre avere un significato, e che le poesie non devono per forza mandare un messaggio. A volte il loro ruolo è rievocare specifiche sensazioni e atmosfere; alcune già sentite, altre volte completamente nuove: il bullo che non ti ha mai picchiato, la minestra che la nonna non sapeva cucinare, il dio di cui non hai mai visto il volto.

Di seguito tre sue poesie

Ricordo di aver percorso impavido
I tuoi versanti e i tuoi squarci
E poi giocare a essere pavido
Per non dire e tacere e poi parlarci
E guardare, dopo, il tuo collo livido
E le mie mani avvolte e ripensarci
E sperare in un ricordo più vivido
Di te, di fianco a me, abbracciarci.


Non gridare parola alcuna
Di un pensiero colpevole,
Ma sospirale una a una
Come un indizio flebile e fuggevole.


Tragicamente tu nella mia mente
Giochi al gioco dei potenti
Mentre io carente nel tuo ventre
Gioco al gioco dei perdenti.

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