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Su “La cadenza il canto. Poesie scelte” di Giacomo Trinci | L’Altrove

Il cammino dell’Io: Morte, Vita e Madre.

Io, ovvero un Mondo interiore fatto di gioie, chimere, emozioni, e straziate lacrime emarginanti oceaniche spiritualità in oscuri universi accarezzati da cadaverici venti divinamente purificatori, come accade nelle liriche composte dal 1994 al 2006 e racchiuse nel 2007 nell’antologia La cadenza il canto. Poesie scelte del soprano, poeta e scrittore Giacomo Trinci (Ramini, 1960).

Io, quello poetizzato da Giacomo Trinci, che intravede nella Morte la madre perfetta in quanto declamante oscure parole accecanti sogni totalmente folli e animata da un’ardente cuore divinamente depravato, ma in particolar modo da avide, lussuriose, nefaste, folli e drogate carni estremamente belligeranti. Madre, la Morte, partoriente un Io dalle decrepite, inascoltabili, vacue e assordanti parole mutanti l’interiorità in brumose ombre schiaffeggiate da disoneste eticità soffianti malsane fragranze, ma in particolar modo animate da inedite cupidigie, lussurie e depravazioni materne. Un Io così poetizzato, che è condannato a compiere un cammino psico-spirituale e socio-esistenziale composto da trucide lacerazioni carnali, droganti asfissie linguistiche e anoressici metabolismi nutrizionali mutanti il suo pellegrinaggio esistenziale, in un nomadismo eternamente emarginato da tutto/tutti. Cammino, in eterno isolamento psico-sociale, nel quale non è capace di farsi riscaldare dall’amore perché infettato come cadaverica decomposizione e vacuo come una glaciale emozione ultraterrena. Cammino, quello dell’Io, che vede nella Morte una madre e nel Dolore un padre, ovvero uno straziante lamento interiore e un’ ignuda carnalità etica, ma in particolar modo una burrascosa carezza emotiva che muterà nel cuore del figlio Io la sua dipartita, in una alchemica reminiscenza oceanicamente nostalgica animata da quotidiani profumi emananti arcane, mistiche, paradisiache e balsamiche fragranze ultraterrene. Padre, in poche parole, come un eterno spettro sempre presente nello straziato, lacerato, stuprato e ferito cuore del figlio che è da quest’ultimo commemorato nel suo esiliato cammino con le forme di un purificante balsamo esorcizzante i materiali peccati, medicante le avide tentazioni interiori e soffocante le oscure chimere carnalmente laceranti.

Cammino quello dell’Io qui poetizzato, che troverà la sua salvezza, purificazione e redenzione attraverso il ricordo della terrena e carnale madre rimembrata come un’intensa energia cosmica, ancestrale, intima e affettiva accarezzante il figlio con purpuree, verginee e balsamiche folate mutanti il figlio in una creatura dal cuore colmo di accecanti, purificanti, balsamiche, curative luminosità spirituali capaci di imprigionare le dolorose e sanguinose lacrime da esso versate, in una cella spirituale oceanicamente inaccessibile, per l’eternità. Madre infine, come un universo schiaffeggiato da estasianti melodie cristalline e irose puerilità incitanti il figlio nel guardare sempre in avanti senza rimorsi, per potersi così un giorno ricontrare e riabbracciare in universi paradisiaci immergendosi in fiumi colmi di pure, serafiche e candide emozioni interiori. Il tutto composto dal poeta Giacomo Trinci, con l’utilizzo della canonica scrittura poetica affiancata nell’ultima parte antologica dalla scrittura poetica maledetta salentina, ovvero una scrittura poetica composta da versi in minuscolo dall’inizio alla fine e dopo i punti di frine fase, poiché simboleggiante l’eterna lotta interiore dell’Io alla ricerca della purificazione, redenzione e rinascita spirituale attraverso intime reminiscenze, fotografie e nostalgie materne, in quanto la Madre come universo racchiudente mistici universi con paure come affettuose coccole educativo-pedagogiche e brumosi silenzi come certezze esistenziali, ma in particolar modo con dolorose carezze come balsamiche gioie partorienti glaciali, cimiteriali, malinconiche e deformi intimità affettive ardenti come l’apollonico sole.

A cura di Stefano Bardi.

L’AUTORE

Giacomo-Trinci

Giacomo Trinci è nato a Ramini, una frazione di Pistoia, nel 1960. Laureato in Lettere Moderne all’Università di Firenze, studia canto lirico, debuttando a Salisburgo in occasione del bicentenario della morte di Mozart. La prima raccolta di poesie è del 1994: Cella, ed. Pananti, Firenze. Nel 1996, per la casa editrice L’obliquo, pubblica la seconda raccolta: Voci dal sottosuolo. È finalista al premio di Viareggio. Nel 1999 pubblica Telemachia, edizioni Marsilio, è ancora finalista al premio di Viareggio, vince il premio nazionale di San Pellegrino ed è tra i vincitori del Premio Montale nel 2000. Nel 2001 pubblica il poema in versi Resto di me, edizione Nino Aragno e nel 2006 pubblica Senza altro pensiero, sempre per i tipi della Nino Aragno. Nel 2007 vince il premio nazionale “Il Ceppo” di Pistoia. Dal 2000 tiene laboratori e conferenze sulla poesia nelle scuole della sua città. È presente in varie antologie, impegnato in traduzioni dal francese e dallo spagnolo e collaboratore all’inserto culturale del Manifesto, «Alias», al periodico di letteratura «Stilos» e alla rivista letteraria del Gabinetto Viesseux. Ha preso parte con una serie di versioni poetiche al volume della “Biblioteca di Repubblica” Poesia Araba, a cura di Francesca Corrao (2004).

La foto del poeta è stata scattata dall’artista, fotografo ed editore Fabrizio Zollo.

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