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Aìsthesis: Sentire, esiste soltanto il sentire – la voce poetica nasce dalle viscere del poeta | L’Altrove

A cura di Valeria Zagami.

Il poeta è una creatura sacra che abita il divino. Si nutre del silenzio, territorio fecondo nel quale ascoltare la sacralità della parola poetica. Siamo in un momento storico così delicato nel quale le certezze vacillano, i punti di riferimento sono sempre più labili, la severità dei principi che rappresenta un baluardo per le esistenze più fragili non trova riscontro all’interno di nessuna realtà sociale contemporanea. La poesia che è per sua natura intrinseca “seria e severa”, votata allo statuto della precisione e dell’esattezza della parola, abita il territorio della scelta consapevole e della responsabilità, perché la parola poetica esiste quando comunica una verità assoluta, che può narrare soltanto chi si assume la responsabilità e soprattutto il coraggio di nominarla; per questo la poesia può ricondurre la vita di tutti noi alla speranza e alla saggezza, alla forza primordiale dello spirito, perché questa è la natura ontologica della poesia – ovvero forza vitale, soffio supremo dello spirito, energia eterna, parola possente che penetra il corpo e la mente di chi la ascolta o la legge, o condivide durate reading sonori collettivi. Il poeta, ancor prima di essere uomo, è una creatura mitica, votata alla ricerca dell’austerità, di una perfezione divina perduta, portatore di una sofferenza che trova le sue radici peculiari nella conoscenza della morte e con essa nella comprensione del dramma della vita. Prima ancora di essere poeta è un animo che accoglie in sé la ferita dilaniante dell’esser vivi in vita. E’ il sommo rappresentante di un mondo viscerale che sente al suo interno il dolore di vivere, perché la poesia sgorga proprio dal canto di un dolore, dall’esperienza profonda del sentire la vita dentro se stessi, nel proprio corpo, nella propria coscienza, nella propria psiche, nel proprio io, nella propria carne divenuta un tempio privato che è ossario umano fatto di spoglie frantumate che accompagnano i giorni mortali.

La poesia contemporanea privilegia forme sperimentali, e in particolare il verso libero, che seppure è sinonimo di libertà dalla dittatura dalle forme classiche, è in verità assai complesso da usare. La costruzione di un ritmo e di una melodia sanciscono la forma di una metrica che è creata ad hoc dal poeta, generando una manifestazione di senso che è avulsa dalla scelta peculiare della parola, ma che insieme al suono, alla partitura, al ritmo e alla melodia codificata, cioè alla modulazione del verso, generano una prosodia che è stilema sonoro, tessitura musicale, partitura ritmica, cifra stilistica della poetica del singolo autore.

Io stessa prediligo il verso libero alle forme metriche codificate, perché la mia voce si possa esprimere a pieno, senza la coercizione della forma e il vincolo che esercita il canone metrico prestabilito; la possibilità di creare le stanze sonore nelle quali abiterà il mio fruitore mi consente di connettermi all’essenza ancestrale che racchiude in sé il mondo viscerale del poeta, che è appunto il generare prolifico di un grembo sano che dona nuova vita a se stesso e agli altri; del resto tale essenza è naturale perché rispecchia tacitamente un imperativo categorico dettato dall’etimo della parola poesia che deriva appunto dal greco poiéō, ovvero “io creo”.

Andare accapo, proprio del verso libero, rappresenta la pausa della tessitura musicale, i tempi più o meno prolungati di questa pausa sono modulati dai suoni generati dalle immagini e dal contenuto di senso prodotto in chi ode la bellezza del canto. È davvero complesso padroneggiare questa capacità, così tecnica da un lato ma così essenziale per creare una fascinazione sonora atemporale, che con il tecnicismo tout court non ha niente a che fare. Andare accapo non è una scelta di forma visuale del componimento, ma è la cesura temporale della manifestazione della tessitura poetica, dove l’immagine è dotata di una nuova amplificazione di senso; l’imago è un suono, a cui corrisponde un climax discendente, o delle accelerazioni ritmiche verso una tensione emozionale, oppure può rievocare addirittura intere atmosfere sensoriali, generate da suoni convulsi o da silenzi statici – come accade ad esempio a chi è in grado di evocare attraverso la manipolazione ipnotica dei sensi la perfezione statica della morte, unica esperienza di vita incontrovertibile, inesorabile, e quindi perfetta.

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