Con Cuore maestro (Ensemble, 2025), Valentina Casadei approda alla sua sesta raccolta poetica confermandosi tra le voci più incisive e necessarie del panorama lirico contemporaneo. La poetessa ravennate, che ha costruito nel corso degli anni un corpus stilisticamente riconoscibile attraverso opere come Tormento Fragile (2018) e Abitare la Ferita (2024), raggiunge in questo nuovo lavoro una maturità espressiva che si traduce in una partitura dolorosa e necessaria dell’esistenza contemporanea.
L’anatomia del dolore in Cuore maestro di Valentina Casadei
Il volume si apre con una citazione di Guillaume Apollinaire – “Non ci vedremo più sulla terra / odore del tempo filo di brughiera” – che funge da chiave ermeneutica per l’intera raccolta. È proprio questa dimensione dell’addio, della separazione definitiva, a costituire il nucleo tematico portante dell’opera, declinato attraverso una molteplicità di registri che spaziano dal lirismo più puro alla prosa poetica, dalla confessione autobiografica alla riflessione esistenziale di carattere universale.
La struttura compositiva del volume rivela una sapiente architettura del dolore, organizzata in settantacinque componimenti numerati che seguono un percorso ascensionale – o forse sarebbe più corretto dire discensionale – verso la comprensione di sé attraverso la perdita. Casadei costruisce un itinerario poetico che dalla ferita primordiale della mancanza (“Manca qualcosa a questa città / una madre”) conduce alla metamorfosi finale in “gallina dalle uova d’oro / dai vuoti scintillanti”, in un processo di sublimazione che trasforma il dolore in generatività poetica.
La cifra stilistica dell’autrice si caratterizza per una prosa poetica di notevole densità semantica, dove l’andamento versale libero si alterna a momenti di maggiore compattezza sintattica. La lingua di Casadei è una lingua ferita, che porta su di sé i segni della lacerazione esistenziale ma che proprio da questa condizione di vulnerabilità trae la sua forza espressiva. Si osservi, ad esempio, la poesia: “Nel cielo, la luna maledetta / nel petto, un inno di espansione / sotto i piedi, chilometri di vita felice / solo tre secondi di coraggio / poi la prigione delle recidive ci raggiunge”. La costruzione paratattica, l’uso dell’enjambement e la successione di immagini contrastanti creano un effetto di straniamento che rispecchia la condizione di spaesamento esistenziale del soggetto lirico.
Particolarmente significativa risulta la ricorrenza del tema della maternità negata o problematica, che attraversa l’intera raccolta come un fiume carsico. La poesia numero “Ho sognato l’aborto di mia madre” costituisce uno dei momenti più intensi e dolorosi dell’intero volume: “Ho sognato l’aborto di mia madre / la non-sorella uccisa a forchettate / in una giornata zoppa, irreparabile / Ho sognato l’aborto di mia madre / ho visto gli occhi che avrei baciato / se mi avessero guardato”. La ripetizione anaforica conferisce al componimento una dimensione quasi rituale, trasformando il trauma personale in archetipi universali della perdita.
Il rapporto con la figura materna emerge anche nello splendido componimento dove la madre che “ringiovanisce” strappando “con foga / le erbacce del giardino” diventa metafora di un tempo circolare che si nutre della propria distruzione: “ad ogni erbaccia, una ruga che scompare / lei strappa strappa strappa / ricurva in avanti / la gobba sulla schiena che non le sta bene / in loop ha in mente questo pensiero finale / ogni madre è la figlia di una madre”.
La dimensione erotica, altra costante tematica dell’opera, si presenta sempre attraverso il filtro della perdita e della mancanza. La poesia “Consumati dall’orgasmo”, mostra come anche l’esperienza dell’intimità fisica sia segnata dalla precarietà: “Bendati tutti gli occhi gelosi / sui nostri corpi incorrotti, storpi / tu, che mi dai una carezza al posto dello schiaffo / io, che vorrei perdermi per sempre / noi, una via crucis quotidiana dall’orto agli ulivi”. Il riferimento cristologico (“via crucis”) innesta la dimensione carnale in un orizzonte di significato che trascende la mera fisicità, trasformando l’eros in esperienza mistica del dolore.
Uno dei vertici poetici della raccolta è rappresentato dalla sequenza di alcune poesie, incentrate sulla metafora del “vuoto a rendere”. Casadei sviluppa qui una riflessione di straordinaria efficacia sull’economia affettiva contemporanea, utilizzando l’immagine della bottiglia vuota come correlativo oggettivo della condizione esistenziale del soggetto contemporaneo: “Ora sono un vuoto a rendere / bottiglia resa una volta svuotata / andato al supermercato / tra tutte le bottiglie hai scelto me / giorno dopo giorno hai iniziato a bere / una volta che non avevo più acqua al mio interno / sono diventata bottiglia vuota / e mi hai restituita”. La metafora si sviluppa con rigorosa coerenza logica, trasformando la spiegazione tecnica del sistema del vuoto a rendere in una potente allegoria delle relazioni umane nell’epoca del consumismo affettivo.
La dimensione metaletteraria emerge con particolare evidenza in alcuni testi dove l’autrice interroga la funzione stessa della poesia: “A cosa serve brillare? / Se non sono altro che un ritorno / un principio di tristezza / un centenario sotto sforzo”. È una riflessione amara sulla condizione del poeta contemporaneo, chiamato a dare voce al dolore collettivo in un’epoca che sembra aver perduto la capacità di ascolto autentico.
Il registro stilistico di Casadei si caratterizza per una costante tensione tra lirismo e prosaicità, tra elevazione poetica e immersione nel quotidiano più triviale. La poesia “Le difese annientate dallo sguardo di un poliziotto / in una tabaccheria / a parlare con uno spacciatore / della sua prossima dose di decenza” esemplifica questa capacità di trasfigurazione poetica del reale, dove anche la situazione più degradata diventa occasione di rivelazione esistenziale.
La conclusione della raccolta con i versi “È il cuore che si chiude / il fiore che torna gemma”, suggella un percorso che dalla dispersione iniziale approda a una forma di raccoglimento, non consolatorio ma necessario. Il movimento regressivo (“il fiore che torna gemma”) non indica un ritorno all’innocenza perduta, ma piuttosto una conquista di consapevolezza che permette di “covare questo vuoto come un uovo”, trasformando la mancanza in potenzialità generativa.
Dal punto di vista prosodico, l’opera si distingue per l’uso sapiente del verso libero, che Casadei piega alle esigenze espressive del momento, alternando momenti di grande respiro lirico a sequenze più frammentate e sincopate. La punteggiatura, spesso rarefatta, contribuisce a creare un andamento musicale che segue i ritmi del respiro e del pensiero piuttosto che le convenzioni sintattiche tradizionali.
Il lessico dell’autrice attinge a registri diversi, dal linguaggio medico-scientifico (“borderline”, “bipolare”, “schizofrenico”) al vocabolario della quotidianità più prosaica, creando un effetto di straniamento che rispecchia la condizione di spaesamento del soggetto contemporaneo. Particolarmente efficace risulta l’uso di termini tecnici reinventati in chiave poetica, come nella sequenza finale dove il “vuoto a rendere” diventa metafora esistenziale di straordinaria potenza evocativa.
Cuore maestro si configura dunque come un’opera di notevole spessore artistico e di bruciante attualità, che conferma Valentina Casadei tra le voci più autentiche e necessarie della poesia italiana contemporanea. La raccolta si impone per la sua capacità di trasformare il dolore individuale in esperienza universale, offrendo al lettore non consolazione ma quella forma di riconoscimento che solo la grande poesia sa offrire. In un’epoca dominata dalla superficialità comunicativa e dall’accelerazione temporale, l’opera di Casadei rivendica con forza la necessità di sostare nel dolore, di attraversarlo fino in fondo per giungere a quella forma di saggezza che nasce solo dalla piena accettazione della propria vulnerabilità.
Il volume si colloca con pieno diritto nel solco della migliore tradizione poetica femminile italiana, da Alda Merini a Patrizia Valduga, confermando la capacità della poesia di dare voce alle zone d’ombra dell’esperienza umana con una forza e una necessità che nessun altro linguaggio artistico può eguagliare.
L’AUTRICE
Valentina Casadei (Ravenna, 1993)
è una sceneggiatrice italiana che vive
a Parigi. Ha pubblicato le raccolte di
poesie: Tormento Fragile (2018), Il
Passo dell’Inerzia (2020), Uno più
uno fa uno (2020), Plainte Contre A
(2023) e Abitare la Ferita (2024).