La poesia che sostiene la fragilità: lieve, salvifica, necessaria | L’Altrove
La poesia che sostiene la fragilità: lieve, salvifica, necessaria | L’Altrove

La poesia che sostiene la fragilità: lieve, salvifica, necessaria | L’Altrove

In un mondo rapido e superficiale, fatto di apparenza e vanità, si torna a cercare la poesia e tutto ciò che la compone: spazio, silenzio, emozione.

La poesia viene in aiuto per salvarci da quello che appare e portarci a quello che è, come fa una sottrazione. Togliere non significa perdere ma aggiungere, aggiungere pienezza, senso, ritrovare una presenza diventata ormai un’utopia.

Oggi tutto si può comprare. Si può raggiungere ogni angolo del mondo e ci si può connettere con tutti, ovunque essi siano.

Eppure, nonostante il “tutto” abbia preso il sopravvento – un tutto che sembra renderci pieni e felici -, ci accorgiamo di essere vuoti, svuotati, senza appigli cui aggrapparci, in una dimensione fragile e vulnerabile.
In questo passaggio dal tutto al niente, dalla felicità apparente alla solitudine, il rumore del mondo si rintana in un anfratto del mondo e il silenzio pare assordarci.
Scopriamo di essere fatti di buchi e di ombre, di niente sommato al niente, preludio della crescita:

Ciò che non appare
È più difficile da trovare
Ma se ti addentri
Con coraggio nel buio
Troverai la tua ombra
Che prega per te

(Quando il mattino apre gli occhi, Martina Mancassola, Eretica Edizioni, 2025)

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Quando impariamo ad ascoltare il silenzio, ecco che appare la poesia, quel posto invisibile nel mondo che per Vittorino Curci “è il luogo dove cerchiamo di rimettere a posto le parti scombinate del nostro essere” (Note sull’arte poetica, Vittorino Curci, Spagine, 2025).
Il silenzio diventa protagonista delle nostre vite e si fa spazio dentro di noi per navigare tra le crepe che l’essere vivi ha originato.
E quando le crepe urlano, e si fanno sentire, possiamo aprire un libro di poesia e abbandonarci alle ferite dei poeti, a ciò che sta tra un verso e l’altro, per vedere su carta il dolore di chi è venuto prima di noi, e trovare conforto nelle sue parole.
Allora, la poesia diventa un salvagente o, ancor di più, un passaggio sotterraneo che ci conduce ad una nuova realtà a molti sconosciuta. Quella di sé stessi.

E tu sei nuovo,
al sole, sulla terra
smossa –
come un seme che forse
non si vuole che germogli –
ma così basta
a nutrire un uccello.

(Mia vita cara, Antonia Pozzi, Interno Poesia, 2019).

Tutto diventa da esplorare: emozioni, sensazioni, ricordi, pensieri. Ogni pezzetto del nostro essere ci si manifesta davanti e ci chiede di vederlo, ascoltarlo, capirlo. Quando la crepa chiede aiuto, la poesia salva dal dolore, lo guarda, lo guarisce e cuce la ferita.
Dopo aver letto un mazzetto di poesie, ci sentiamo meglio e torniamo a respirare. Veniamo messi al mondo una seconda volta.
Apriamo gli occhi, come fanno i neonati, e tocchiamo ciò che c’è attorno a noi. Diventiamo esploratori di noi stessi, e poi viandanti, viaggiatori, navigatori. Ricominciamo a vivere, come testimonia Emily Dickinson. Dentro di noi c’è un battello che naufraga e spiega le vele, sempre spinto dal vento a procedere oltre senza abbattersi.

Alla deriva! Un piccolo battello alla deriva!
E la notte che viene!

Nessuno guida un piccolo battello
al porto più vicino?
I naviganti dicono che ieri,
proprio quando il crepuscolo imbruniva,
un piccolo battello terminò la sua lotta,
e affondò gorgogliando.

Gli angeli invece dicono che ieri,
quando rosseggiò l’alba,
un piccolo battello stremato dalle raffiche
rialzò l’alberatura, spiegò ancora le vele,
ed avanzò esultante verso il cielo!

(Emily Dickinson, Poesie, BUR 2019)

La poesia è una nuova possibilità: aprire gli occhi. Ma per arrivare a questo bisogna diventare ciechi, aridi, vuoti. È solo dallo svuotamento che nasce la pienezza. E così, ci accorgiamo di essere fragili, impotenti, insicuri, e che in questo si tramanda la dignità dell’umanità.
Fragilità, dice Amleto, “il tuo nome è donna” (Amleto, William Shakespeare, Feltrinelli, 2024). Fragilità è donna, uomo, animale, natura. Ogni cosa è fragile, se solo la si osserva da vicino.
Fragilità non è debolezza, è un nucleo di poetica interezza che riscalda l’animo e ammorbidisce il cuore.

Benvenuta la frammentazione, che presuppone la scoperta di sé e dà vita ad una nuova ricomposizione come in un puzzle magico, i cui pezzi possano cambiare forma e colori e così anche il quadro finale.
Possibilità di essere una cosa e poi un’altra, senza restare prigionieri di una vecchia versione di sé.

La poesia genera vita, non è una minaccia. Accoglie ogni occhio umano al di là del livello di scolarizzazione, non respinge. Mette al mondo qualcosa di grande, di umano, mai esistito prima. È il segno autentico del passaggio dell’uomo in questa galassia.
Chi scrive di fragilità, e chi la legge, vive come il funambolo, sempre teso tra equilibrio e perdita ma felice della sua dimensione esplorativa.

A cura di Martina Maria Mancassola.
Profilo Instagram: https://www.instagram.com/martinamancassola

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