Recensione: “Quando il mattino apre gli occhi” di Martina Maria Mancassola | L’Altrove
Recensione: “Quando il mattino apre gli occhi” di Martina Maria Mancassola | L’Altrove

Recensione: “Quando il mattino apre gli occhi” di Martina Maria Mancassola | L’Altrove

La raccolta poetica Quando il mattino apre gli occhi (Eretica Edizioni, 2025) di Martina Maria Mancassola si presenta come un’operazione di scavo interiore che procede per stratificazioni successive, rivelando una poetica della frammentazione e della ricomposizione identitaria. L’architettura del volume, scandita da componimenti di varia estensione e intensità lirica, delinea un percorso che dall’autodistruzione conduce verso una faticosa riappropriazione del sé, attraverso un linguaggio che oscilla tra prosaicità quotidiana e illuminazioni visionarie.

Il nucleo tematico portante dell’opera si configura attorno alla dialettica tra presenza e assenza, tra essere e non-essere. Fin dalle prime liriche, Mancassola sviluppa una vera e propria fenomenologia della negazione: Quel che sputavo / fuori da me / Non andava bene / era crudele, sadico, cinico / feriva, usciva morto / Perciò l’ho sospinto / dentro di te / E sono morta io. Questa dinamica di interiorizzazione del male e di conseguente auto-annullamento costituisce il punto di partenza di un’indagine che attraversa l’intera raccolta.

La metafora dell’armadio, sviluppata nella seconda composizione, rivela la complessità stratificata della costruzione identitaria: ho riempito i miei cassetti / di sentimenti, rimproveri, delusioni / le ante di maschere / da indossare giorno e notte. Qui l’autrice attinge a un immaginario domestico per esplorare la compartimentalizzazione psichica, rivelando come l’identità si configuri quale deposito di ruoli, emozioni represse e meccanismi difensivi. La progressione verso l’annullamento sensoriale (di bavagli / bavaglini, bandane e museruole / tutte sopra la faccia) configura una fenomenologia della privazione che anticipa i temi della rinascita e della riappropriazione sviluppati nel prosieguo della raccolta.

Peculiare risulta il trattamento che Mancassola riserva al rapporto tra parola e silenzio. La metamorfosi del mondo fenomenico in mutismo (Ho trasformato in silenzio / i giudizi, le attese, le parole, le emozioni, / i tramonti, il pelo del mio cane), non configura una semplice afasia, bensì una strategia di sottrazione che precede una nuova nascita linguistica. Il “cinema muto” dell’interiorità diviene spazio generativo: Ho partorito il silenzio / e ora sono disfatta / dalla profondità del mare.

La tensione tra comunicazione e incomunicabilità si risolve in una poetica dell’obliquo, dove la scrittura emerge come necessità biologica: La vita ti fa passare / la voglia di parlare / E fa nascere / la necessità di scrivere. Questa transizione dal parlato allo scritto non rappresenta un ripiego, ma una vera e propria metamorfosi ontologica che permette l’accesso a dimensioni altrimenti precluse.

Centrale nell’economia dell’opera è il rapporto che l’io lirico instaura con il mondo naturale, concepito non come alterità consolatoria ma come spazio di identificazione e trasformazione. L’autunno diviene maestro di metamorfosi (L’autunno mi insegna / a guardare – chi sa più guardare?), mentre la dimensione acquatica si configura quale metafora dell’identità fluida: Sarò là / in quei cerchi d’acqua / che ora ci sono e poi spariscono / e dove vanno?.

Questa liquidità identitaria culmina nell’immagine della trasformazione arborea: Ieri ho scoperto / Che posso essere un albero / Se lo voglio / Porto le braccia al cielo / E lascio cadere le foglie. La metamorfosi vegetale non rappresenta una fuga dalla condizione umana, ma un’amplificazione delle possibilità esistenziali che conduce alla risoluzione finale: Non ho più paura di essere aria.

L’articolazione temporale dell’opera rivela una concezione ciclica del tempo che si oppone alla linearità cronologica. Le date che punteggiano la seconda parte della raccolta (dal 29/11/2024 al 25/02/2025) non scandiscono una progressione narrativa, ma configurano una costellazione di epifanie che si sottraggono alla logica sequenziale: I giorni della settimana / Rendono le nostre vite / Apparentemente ordinate / Non c’è nulla di più sciocco.

Il tema della perdita amorosa, che domina la sezione conclusiva, viene elaborato attraverso una fenomenologia del distacco che procede per accumulo e sottrazione. L’abbandono non genera nostalgia ma consapevolezza: Si perde solo ciò che non ci appartiene / Ed io mi appartengo / Mi basto Questa riappropriazione narcisistica non configura un ripiegamento egoistico, ma la conquista di un’autonomia che precondizione ogni autentico incontro con l’altro.

Dal punto di vista stilistico, la raccolta rivela una tensione irrisolta tra registro colloquiale e aspirazione visionaria. Se da un lato la prosaicità di certe soluzioni (Oggi ho fatto la spesa / in riva al fiume) testimonia la volontà di aderire all’esperienza immediata, dall’altro l’accumulo di immagini oniriche rischia talvolta di generare un effetto di sovraccarico semantico.

La metaforica di Mancassola attinge prevalentemente al repertorio naturale e domestico, rivelando un’immaginazione che procede per analogie intuitive piuttosto che per costruzioni intellettuali. Questa scelta conferisce all’opera un’immediatezza espressiva che, tuttavia, non sempre riesce a sostenere la complessità delle questioni esistenziali affrontate.

Quando il mattino apre gli occhi si configura, dunque, come un’opera di transizione che documenta un percorso di ricomposizione identitaria attraverso la disarticolazione e la ricostruzione del linguaggio poetico. L’itinerario che dall’auto-annullamento conduce alla riappropriazione del sé rivela una maturità tematica che, pur non sempre sostenuta da equivalente raffinatezza formale, testimonia l’emergere di una voce poetica capace di confrontarsi con le contraddizioni dell’esperienza contemporanea.

La forza dell’opera risiede nella capacità di trasformare il dolore privato in interrogazione universale, configurando una fenomenologia della crisi che si risolve in apertura verso nuove possibilità esistenziali. In questo senso, la raccolta si inserisce nel filone della poesia confessionale contemporanea, apportando un contributo originale attraverso l’elaborazione di una poetica della metamorfosi che fa della fluidità identitaria non un limite ma una risorsa generativa.

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