Recensione: “Pietre e miraggi” di Luigi Palazzo | L’Altrove
Recensione: “Pietre e miraggi” di Luigi Palazzo | L’Altrove

Recensione: “Pietre e miraggi” di Luigi Palazzo | L’Altrove

La raccolta poetica di Luigi Palazzo Pietre e miraggi, pubblicata nella prestigiosa collana porto sepolto diretta da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti, si configura come un’opera di straordinaria densità semantica e di rilevante spessore antropologico. Il volume, articolato in due sezioni distinte – Polvere e campane e Andante ritorno – testimonia la maturità di una voce poetica che riesce a coniugare la dimensione memoriale con quella esistenziale, tracciando una cartografia interiore che attraversa il Meridione geografico e metafisico per approdare alle derive della contemporaneità urbana.

L’operazione letteraria di Palazzo si inscrive nella tradizione della poesia meridionale che da Scotellaro a Bodini, da Pierro a De Signoribus, ha fatto del rapporto con la terra d’origine il nucleo generativo di una riflessione più vasta sulla condizione umana. Tuttavia, la specificità dell’autore risiede nella capacità di superare i paradigmi del meridionalismo tradizionale per approdare a una dimensione universale del dolore e della ricerca identitaria.

Pietre e miraggi: Un Viaggio nella Poesia Meridionale

La prima sezione, Polvere e campane, si apre con una lirica-manifesto di straordinaria efficacia:

Tra le maglie di un rudere / un setaccio, il Sud, / trattiene /vite rassegnate,/ pietre e miraggi.

L’immagine del Sud come setaccio costituisce una metafora di potente suggestione, in cui la dimensione geografica si trasfigura in condizione esistenziale. Il “rudere” non è soltanto vestigio architettonico, ma metafora di una civiltà che conserva tra le proprie pieghe le tracce di “vite rassegnate”, oscillanti tra la concretezza delle “pietre” e l’illusorietà dei “miraggi”. La scelta lessicale rivela una consapevolezza stilistica notevole: il verbo “trattenere” suggerisce insieme conservazione e prigionia, protezione e impedimento.

La dimensione genealogica assume centralità nella composizione Mio nonno aveva un fratello, testo di fondamentale importanza per comprendere la poetica di Palazzo. La narrazione procede per accumulo di dettagli concreti che si caricano di valenza simbolica: strappò dalla porta / l’unica di casa/ uno stipite di legno e tarme/ e ci inchiodò una tovaglia, rossa.
La povertà materiale (“l’unica di casa”) si trasforma in gesto rivoluzionario attraverso il colore rosso della tovaglia, mentre la fragilità del supporto (“legno e tarme”) allude alla precarietà degli ideali. Il contrappunto tra i due nonni – quello rivoluzionario e quello bambino / con un mulo sulla schiena che saltava il recinto dell’ospedale – delinea una dialettica tra utopia politica e sopravvivenza elementare che attraversa la storia meridionale.

La religiosità popolare trova espressione nella lirica La processione del venerdì Santo, dove Palazzo raggiunge vertici di straordinaria intensità. Il verso “A manu allu Signore stamu” introduce l’elemento dialettale come marca di autenticità culturale, mentre la sequenza Oggi si muore, oggi si guarda. / Che Dio risorga almeno qui condensa in due proposizioni la tragicità della condizione meridionale e l’anelito di redenzione. L’uso dell’avverbio “almeno” rivela una religiosità disincantata, che implora una resurrezione non universale ma territorialmente circoscritta.

Particolare rilievo assume la composizione dedicata ai funerali / al mio paese, dove la morte diventa occasione di ricomposizione comunitaria. Il verso quando se ne andava / uno di noi / era / uno di noi / che se ne andava costruisce attraverso la ripetizione un effetto di circolarità che mima il dolore collettivo. L’immagine finale della “madre / appesa / allo stelo d’un fiore” raggiunge una pregnanza poetica notevole, condensando fragilità e tenacia in una metafora di cristallina efficacia.

La riflessione metalinguistica emerge nella lirica Al mio paese, dove Palazzo analizza la specificità semantica del verbo “trovare” nel contesto meridionale: il verbo ‘trovare’ / indica la ricerca / e la domanda / del motivo. Questa notazione antropologica rivela la sensibilità dell’autore per le strutture profonde della cultura popolare, mentre il verso conclusivo “il futuro è declinato / al tempo presente” sintetizza con lucidità analitica la condizione di un Sud sospeso tra memoria e attesa.

La sezione si conclude con una meditazione sul tempo che oscillare / tra il passato ed il presente, / tra il presente ed il presente, formula che cristallizza l’impossibilità di proiezione futura caratteristica della condizione meridionale. La ripetizione “tra il presente ed il presente” suggerisce una temporalità circolare, priva di tensione escatologica.

La seconda sezione, Andante ritorno, segna una svolta nella raccolta, spostando il focus dalla dimensione collettiva a quella intimamente personale. L’epigrafe implicita del movimento musicale suggerisce un ritorno che non è mai identico alla partenza, ma metamorfosi continua del medesimo.

La lirica d’apertura, Le parole che restano / sono scorie / sono ombre / senza corpo, introduce il tema della perdita linguistica e della difficoltà comunicativa. L’immagine delle parole come “scorie” allude al processo di sedimentazione della memoria, mentre la definizione di ombre / senza corpo evoca una presenza spettrale del linguaggio.

La dimensione del lutto familiare trova espressione drammatica nella composizione Dalla finestra, dove l’incontro con lo sguardo materno del passato innesca una vertiginosa sovrapposizione temporale. Il verso Due bambine / l’una in braccio l’altra / nel palmo di una mano / non sanno ancora che papà / è un ricordo raggiunge un’intensità emotiva straordinaria attraverso la tecnica dell’anticipazione tragica. La metafora del “palmo di una mano” per indicare la custodia materna rivela una tenerezza che rende ancora più straziante la rivelazione successiva.

Il tema della morte paterna raggiunge il proprio acme nella composizione Poco più che bambino, dove Palazzo costruisce un dialogo impossibile con il genitore scomparso. La ripetizione anaforica “ti ho visto bambino” e la chiusa da quando sei morto / da quando noi altri / siamo rinati quel giorno / senza di te delineano una concezione della morte come frattura che genera una nuova nascita, traumatica e necessaria insieme.

La sezione procede attraverso una fenomenologia del dolore che trova nella natura i propri correlati oggettivi. La lirica “Un calabrone” costruisce un parallelismo tra la morte dell’insetto e il fluire del tempo: S’avvinghia al bianco / d’un fazzoletto / tra la polvere / incenerita dal giorno. / Non vola. L’immobilità del calabrone diventa metafora della paralisi esistenziale, mentre il “tempo che si scioglie / sul vetro che gocciola” introduce una temporalità liquida, sfuggente.

La raccolta si conclude con due testi di particolare rilevanza. La penultima composizione, Proteggi, si configura come una preghiera laica di straordinaria intensità, costruita attraverso un accumulo di invocazioni che abbraccia l’intera gamma dell’esperienza umana: chi riesce a urlare davanti allo specchio, / chi sceglie il silenzio, / chi si accarezza le cicatrici. L’ampiezza dell’abbraccio solidale rivela una maturità etica che trascende il dolore personale per farsi compassione universale.

Il congedo affidato alla domanda A cosa servono / le nuvole? costituisce un interrogativo di disarmante semplicità che rinvia alla tradizione dell’infanzia poetica. Tuttavia, nel contesto della raccolta, questa domanda assume valenze metapoetiche, interrogando il senso della poesia stessa di fronte all’opacità dell’esistenza.

Dal punto di vista stilistico, Palazzo dimostra una notevole padronanza degli strumenti retorici, alternando momenti di prosa poetica a folgorazioni liriche di cristallina precisione. L’uso del dialetto non assume mai carattere folkloristico, ma si integra organicamente nel tessuto poetico come portatore di autenticità culturale. La sintassi, spesso paratattica, mima i ritmi del parlato popolare senza rinunciare a effetti di grande raffinatezza.

La raccolta di Luigi Palazzo si colloca con pieno diritto nel panorama della poesia italiana contemporanea, offrendo una sintesi originale tra istanza memoriale e tensione conoscitiva. Pietre e miraggi documenta il passaggio da una concezione della poesia come testimonianza a una visione della scrittura poetica come strumento di indagine antropologica ed esistenziale. In questo senso, l’opera si inserisce nel solco della migliore tradizione poetica meridionale, arricchendola di nuove acquisizioni formali e di una più matura consapevolezza critica.

L’editore peQuod, con questa pubblicazione nella collana porto sepolto, conferma la propria attenzione per le voci più significative della poesia contemporanea, restituendo al pubblico un’opera di indubbio valore letterario e di rilevante interesse culturale.

L’AUTORE

Luigi Palazzo (1986) è avvocato, autore di contributi giuridici su riviste di settore, impegnato in progetti culturali e sociali, ha firmato testi e regie teatrali. Ha pubblicato le raccolte di poesie Non raccontarmi il cielo (Manni, 2019) e Bar Samarcanda (Transeuropa, 2021, menzione d’onore Premio Casentino, attestato di merito Premio Montano, Selezione Premio Prestigiacomo). Con inediti, finalista al Premio Fabrizio De Andrè, menzione d’onore al Premio Bacchereto, menzione d’onore al Premio Città di Borgomanero.

 

 

 

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