Luciano Erba
Riscoprire i poeti

Le più belle poesie di Luciano Erba | L’Altrove

SUPER FLUMINA

Vedrò gli anni, i visi, i paesi
in cerchio, a passo di danza
se mai avrò una giacca di velluto
qualche pipa di schiuma
il vino rosso d’una mia terra.
Se avrò una torre e le mele nei cassetti.

Quel giorno sarò un amico del popolo.
Ma oggi è tempo di necessarie triangolazioni.

Per una gita sul fiume, domenicale
partiamo: e distanziati i sobborghi
si risale tutto un piano inclinato
di strade e campagne rannuvolate
si pone il piede sui primi termini alti
aggirati da una fiumana impetuosa
che fa a pezzi la roccia, la travolge
o la scheggia e incenerisce alle anse.

Le nuotatrici in secco sul ghiaione
hanno costumi a fiori, esuli coppie
vanno e vengono per più interne rovine
tra i pruni sbiancati e senza frutti.
Una barca fa acqua, le sorelle
continuano a vuotarla, ma il traghetto
resta sempre di qua. Vi è la scalata
di un generoso sul nudo ciglione
lo attardano un paniere di merenda
e la compagna dai sandali d’oro
un’altra vana impresa se fra i rovi
spunta lui solo, sogguarda, se ne va.

Vorrei non ritentasse, che la barca
delle controdanaidi ripartisse
e che all’ombra dentata della draga
non più giacesse un affranto Issione.
Vorrei non fossero tartarei supplizi
sulle rive dell’Adda, il dì festivo
ma questo è un tempo d’inevitabili triangolazioni.

Ecco s’alza dal fondo, in bigie piume
un che non è re di quaglia o pernice.
Ha l’ali troppo lente, il volo sazio
d’antichissimo sangue: e così vola
oltre la groppa di ogni calva collina.
Già i tre cacciatori cinesi
hanno alzato i lunghi fucili
ma nessuno che sappia
che l’ignoranza è il male minore
presso i fedeli dell’imperatore?

(da Il male minore, Mondadori, 1960)

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PIOVERÀ

Prima che piova
ripassano le rondini sulla strada.
Passa
un uccello che non conosco
con ala lenta
e volo parallelo alla terra.
La noia
di questo mattino
ritorna al suo cielo di pioggia.

(da Il nastro di Moebius, 1980)


SCRITTORI DEL SECONDO NOVECENTO

Invitati a Mosca visitavano fabbriche di caramelle
incartate automaticamente su un lungo nastro
tornati dicevano “Glienin”
a Cuba dove li portavano tra canne da zucchero
incontravano ausiliarie in tuta mimetica
tornati dicevano… omissis
girato il vento, orfani di utopia
non resta loro che l’ecologia.

(da Nella terra di mezzo, 2000)


FINE DELLE VACANZE

Ero uno che sollevava la pietra
affondata nell’erba tra la malva
scoprendo un mondo di radicole bianche
di città color verde pisello;
ma partite le ultime ragazze
che ancora ieri erano ferme in bicicletta
nascoste da grandi foglie di settembre
alle sbarre del passaggio a livello
mi sento io stesso quella pietra.
Anche le nuvole sono basse sui campi di tennis
e il nome dell’hotel scritto sul muro
a nere, grandi lettere è tutto intriso di pioggia.

(da L’ippopotamo, Einaudi, 1989)

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NEL BOSCO

E tu pensavi che come a un saggio orientale
ti bastasse stare addossato a gambe incrociate
alle radici sporgenti di un faggio
per allontanare il pensiero di lei
e diventare l’azzurro tra i rami
o magari formica corteccia filo d’erba

sono passati tre lenti fiocchi di nuvole
e sei ancora tu

ami, ma ami senza:
migliore esperienza?

(da L’ippopotamo, Einaudi, 1989)


SENZA RISPOSTA

Ti ha portata novembre. Quanti mesi
dell’anno durerà la dolceamara
vicenda di due sguardi, di due voci?
Se io avessi una leggenda tutta scritta
direi che questo tempo che ci sfiora
ci appartiene da sempre. Ma non sono
che un uomo tra mille e centomila
ma non sei
che una donna portata da novembre
e un mese dona e un altro saccheggia.
Sei una donna
che oggi tiene un naufrago impaziente
dimmi tu
sei scoglio
o continente?

(da Il nastro di Moebius, Mondadori, 1980)

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