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Pasolini e la neolingua segreta | L’Altrove

Il rapporto tra la poesia e Pier Paolo Pasolini si caratterizza per la sua assoluta inscindibilità.

Negli anni Quaranta del Novecento, il giovane Pasolini più volte tornò con saggi critici sulla tradizione della poesia dialettale friulana. Nei suoi scritti rivendica a sé stesso e ai suoi adepti dell’Academiuta il ruolo di iniziatori di una poesia in una lingua non ancora scritta, il friulano di Casarsa. In tal modo il giovane poeta si va immediatamente a contrapporre alla tradizione vernacolare di Pietro Zorutti.

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Fin dalla giovinezza egli prese a modello il Sommo Poeta, questo lo si evince anche da fatto che egli abbia voluto rivendicare l’utilizzo poetico di una lingua non ancora scritta, proprio come aveva fatta Dante sei secoli prima. Uno dei suoi primi scritti su tale tema comparve nel 1944 sul periodico Stroligut di cà da l’Aga. Il brano recava titolo: Dialet, lenga e stil. Lui stesso ribadisce con forza nello scritto vernacolare che il processo di formazione dialettale friulano è paragonabile solo a quello compiuto dai poeti stilnovisti. Pasolini afferma che al friulano sono mancate quelle figure eccelse che hanno reso, ad esempio, il fiorentino lingua nazionale.
Per due anni il tema non venne più toccato, sino all’autunno del 1946 e poi nel 1949, quando Pasolini affermò a più riprese la necessità di fondare una poesia dialettale friulana.
Le prime sperimentazioni poetiche in dialetto friulano risalgono agli inizi degli anni Quaranta, di seguito alcune delle più celebri redatte tra il 1941 e il 43:

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IL NINI MUÀRT

Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga, na fèmina plena
a ciamina pal ciamp.
Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a sùnin di muàrt .

La poesia è ispirata all’uccisione di un giovane nei pressi della località Casarsa a causa dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.

CIANT DA LI CIAMPANIS

Co la sera a si pièrt ta li fontanis
il me paìs al è colòur smarìt.
Jo i soj lontàn, recuardi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.
A bat Rosari, pai pras al si scunìs:
io i soj muàrt al ciant da li ciampanis.
Forèst, al me dols svualà par il plan,
no ciapà pòura: io i soj un spirt di amòur
che al so paìs al torna di lontàn.

La poesia pasoliniana di questo primo periodo è una poesia attaccata alla sua terra sia verbalmente che tematicamente, in alcuni tratti ricorda quella leopardiana de Il Sabato del villaggio. Nei suoi versi risuona, in tutti i sensi, quella tradizione contadina ancora viva in quegli anni, che invece qualche anno più tardi dovrà andare a ricercare nei sobborghi proletari della periferia urbana come in La Divina Memesis.

A NA FRUTA

Lontàn, cu la to pièl
sblanciada da li rosis,
i ti sos una rosa
ch’a vif e a no fevela.
Ma quant che drenti al sen
ti nassarà na vòus,
ti puartaràs sidina
encia tu la me cròus.
Sidina tal sulisu
dal solàr, ta li s-cialis,
ta la ciera dal ort,
tal pulvìn da li stalis…
Sidina ta la ciasa
cu li peràulis strentis
tal còur romai pierdùt
par un troi de silensi.

Questo è un poetare semplice che si rifà alle piccole cose, gioie, del povero mondo contadino, è una poesia ancora libera del conformismo capitalista.

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A cura di Riccardo Renzi.

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