Estratti ed Inediti

Anteprima editoriale: “Ribut. Dialoghi, visioni e paradossi poetici” | L’Altrove

Sarà presto disponibile, in libreria e in tutti gli store online, Ribut, una originalissima miscellanea di poesie e prose (accompagnate da illustrazioni e musiche), che insieme formano un manifesto generazionale ricco di sfumature.
Il libro, edito da Guida Editori, è un progetto corale in cui gli autori Marcello Affuso, Maria Laura Amendola, Lucia Maritato e Manuel Torre, insieme all’illustratrice Federica Dias e al cantante Achille Campanile, si sono uniti con i propri mezzi artistici per reinterpretare le questioni sociali ed emozionali della generazione odierna, a partire dalle opere letterarie del passato e del presente, da Saffo ad Alda Merini, passando per Montale e Ungaretti.
Un’operazione di riscrittura coraggiosa e inedita, questa, un unicum nel panorama letterario mondiale, poiché si tratta del primo “reboot” letterario mai pubblicato.

Ribut (trascrizione fonetica di “reboot”) racchiude parole, illustrazioni e musiche, che disegnano armonicamente un percorso variopinto capace di coinvolgere i giovani lettori, che avranno la possibilità di rispecchiarsi in testi che raccontano in maniera lucida le sfumature della realtà attuale.

Dalle scelte tematiche di tipo politico, sociale, emozionale alle scelte lessicali talvolta crude e taglienti, Ribut è un inno di speranza e fiducia nel presente e nel futuro. E, non a caso, nella copertina del libro spicca la figura significativa della ginestra, simbolo leopardiano di resistenza di fronte alle difficoltà e all’inesorabile destino e che rappresenta a pieno la capacità di permanere, nonostante gli impedimenti del tempo.
Il ricavato delle vendite verrà devoluto all’associazione di promozione sociale Patatrac, che sostiene iniziative nel campo dell’educazione non formale e della progettazione sociale, con particolare riguardo alle tematiche relative alla promozione umana e civile.

Alcune poesie contenute nell’antologia:

La Luna di Kiev
(Gianni Rodari, La luna di Kiev, 1960)

Chissà se la luna
di Kiev
è bella
come la luna di Mosca,
o se sopra i carri
armati
di gendarmi
fino ai denti
il suo bagliore
(fausto squarcio luminoso s’una nuova Guernica)
è perfino più bugiardo

Ma son sempre quella!
(la luna incostante protesta)
Son candido zucchetto
scettro
conteso tra notti celesti
e vermiglie cecità

Non giurar
sul mio mutevole moto
che inargenta le cime di tutti questi faggi
e querce, pini, abeti, salici e castagni
che così volubile
fu sempre il cuore e il pensiero degli uomini alla guerra

Non lacrimar
sull’immortale sudario
d’ogni tremito esplosivo
sirena d’incendio
furto d’innocenza
genocidio di stato

che come farsa si ripete la storia già caduta.

Oh gentiluomini,
così breve è il sorso!
Non mercenari,
siete nati a
camminar
sulle teste dei re!

Viaggiando quassù
Io faccio luce a tutti quanti:
Caini e Abeli
superstiti, inetti e omicidi

E, dal Cremlino al Mar Morto,
i miei raggi viaggiano
senza pregiudizio
né passaporto

Ma sono solo stanca io,
quanto mi vorrei voltare
e addormire!
Ché questa immobilità vana
mi costringe a dirigere
gli occhi miei fissi
sulla Superficie cangiante.
Il mutamento non chiede
permesso
e non so più distinguere
i punti della Terra
se non dal sangue disperso. –

Prima che Apollo giunga col carro
Soffia, o astro, l’argenteo baleno
Sopra l’iride cerulea degli innocenti,
E dona loro un conforto nel buio

Chissà se la luna
di Kiev
è bella
come la luna di Mosca,
chissà se è la stessa
o soltanto sua sorella…
o se il nevischio di marzo
ha sepolto
anche il barlume
di un’amara
ultima
resistenza.

Collettivo Ribut


Ode al nuovo verbo

(Da un passo del romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert, pubblicato nel 1856, XII Capitolo)

Io non voglio intenerire le stelle,
né fabbricare illusioni
con parole striscianti.
Io cerco parola cruda
sgorgata dalle viscere,
nata dall’urgenza di conoscere
sotto mille angoli diversi.
Una parola
l’esatta misura del tangibile,
così effimera, così risoluta.
Io cerco nuove lettere d’alfabeto
per plasmare parole ancora ignote
per dare dignità
ai tasselli di soffocate realtà.
Io cerco parola sconveniente
che sbaragli pregiudizi
che dirompa schemi ed equilibri fittizi.
E se cerco e non trovo
le parole,
non so in che modo, io
possa comprendere
prendermi cura
del necessario
tutto.


Amore a distanza
(Che passeggiata di notte, Pedro Salinas, 1933)

Che passeggiata di notte
Con la tua assenza al mio fianco!
Cammino nei nostri luoghi,
Il Belvedere del Virgiliano
E le scale antincendio
Che mi credono solo.
Loro non sanno
Dello schermo illuminato nella tasca,
La notifica del messaggio:
“Mi manchi”.

La lontananza ci accomuna nella paura
Che nonostante la fiducia
L’amore, il rispetto
sotto forma di quella sfilata
Di corpi, fisici o digitali
Possa una scintilla insinuarsi
E far dire
Basta così, mi arrendo.
Sei tu
Lontana centinaia di chilometri
La mia tentazione da adempiere;
Il resto è scialbo e insipido
Se non immaginato nel modo
In cui Tu lo vedi.
“Mi manchi”
E mi tendo con l’anima
Fino all’altro lato del segnale
Sul tuo sguardo che attende risposta.
Ho il tuo viso tra le mani,
Mentre bacio
I futuri rigagnoli di lacrime
Malapena raccolti
Sulle dighe delle palpebre.
“Mi manchi”
È la purezza del sentimento
che l’”anche tu”
Non potrebbe restituire.
Così, prendendo il telefono
Acquisto il biglietto del treno
Per la tua città.
Ed ora nella schermata
Al tuo ultimo messaggio
“Mi manchi”
Segue Il fermo immagine della transazione
Che lentamente si carica nella chat.


Aylan
(I pastori, Gabriele D’Annunzio, 1903)

Andiamo
È tempo di migrare
Ora in terra libica
Umili ammassi di persone
Lascian macerie e van verso lo scafo
Scendon alle foci del mare tra le terre
Che è rabbioso e ostile con chi è senza peccato

Han ceduto al velenoso ricatto
Barattando denaro con briciole aride di speranza
E non rimane alcuna lacrima a conforto
Nei muscoli devastati dall’orrore
(Vessazione affamata di innocente)

E vanno e cadono come morto
Galleggiante cade
E spingono e urtano
Tra preghiere, urina e stelle
Un tremolio unisonante
In una gabbia di leoni senza denti né pane

Isciacquio, calpestio, sprofondi
Ora lungo il litorale il fanciul arriva
La greggia esausta lo segue
Senza mutamento è l’aria
In questo presepe di corpi lividi
Che quasi dalla sabbia non divaria

Andiamo
È tempo di migrare
Ora in terra libica
Umili scheletri di persone
Lascian macerie e vanno verso lo scafo

Ah dio
Perché non sei tu a remare con questi tuoi pastori?


La paura delle cose nuove
(Sarò sola?, Alda Merini, 1953)

Ho avvertito
i tuoi passi
una sera di marzo

Mi è parso
che il rumore delle suole
rimbombasse nel mio cuore

Ed ero così sola
da desiderare
d’essere
infelice

chè essere
felici
in due
mi pareva un abbaglio

Ma cos’è ora
il fremito che mi palpita
nel petto?

Perché ti penso
se dormo
e ti vivo
se sogno?

Quando ho
per prima desiderato
che restassi
nel mio corpo
ancora?

Non so convincermi
a ragione
di starti accanto

è una sensazione
e mi riempie le braccia

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