Recensione: “Il libro della vita” di Fabio Recchia | L’Altrove
«Le parole / rischiarano il mattino / come raggi di sole. / Perforano le nubi buie, / s’infrangono silenziose / sul foglio del cuore, / colorando le pagine del libro della vita» (Le parole).È partendo da questa poesia incipitaria che si può andare da subito nella plurale espansione versatile ed eclettica di Fabio Recchia. La parola, il sintagma, il fonema, il logos, il pathos, tutti elementi che concorrono con empatia a reificare il suo istinto propositivo. Siamo di fronte ad un artista prolifico che fa della parola il congegno preminente per rappesentare il suo ribollimento interiore; la sua intensa voce estetica. È sufficiente ammirare i quadri, la intensa esposizione per leggere il suo animo, la sua grande padronanza del colore, della natura che sembra andare di pari passo con lui nel concretizzare e dare voce al crogiolo emotivo che dentro lo stimola. Due anime che a braccetto si intescambiano suoni e immagini. L’artista si lascia possedere da tutto ciò che Pan detta, dai suoi concreti artifici, dal suo miracoloso effluvio visivo. Insieme percorrono valli e monti, mari e campi, immagini e fiumi. Dopo il viaggio compiuto con l’amico, il poeta torna alla sua vita e riversa sulla tela tutti ciò che gli è rimasto del viaggio. Non di certo la concretezza, la realtà scussa, ma l’immagine di essa, ciò che in lui ha covato dopo un riposo di qualche tempo. E si sa che il ricordo è di gran lunga più efficace a livello artistico, dacché i dati concreti non sono più gli stessi, hanno subito una traformazione, si sono attorniati di un sentimento loquace e fattivo, per cui i risultati sono opere d’arte rare per concretezza emotiva, per realtà figurativa: «Raccolgo nel mio album dei ricordi, / come figurine da collezione, / i momenti più belli del giorno, / le parole, / gli sguardi, / per non dimenticare, / sfogliare così nel tempo / la vita così fuggevole» (Figurine da collezione).La parola del poeta non è altro che il pennello del pittore: vita e arte, arte e vita. Un binomio che scalda l’animo e lo emoziona a contatto della sua produzione, dei suoi colori, della sua tecnica artistica: Fiori boreali, Barche al tramonto, Galattica, Farfalle, I raggi, Tramonto, Fiori, Lago di Levico, fino a Alba nordica. Tutto uno sfavillio di luci, di raggi, che ti prendono e non ti mollano; che ti catturano con la loro visività. Si fa musica di Chopin il suo disegno, è lì che il suo pathos si depone e vibra come un coro muto di Puccini; ascoltare le sue parole equivale ad ammirare i suoi quadri, dove tutto è sinfonia, tutto è armonia, gentilezza, finezza, di un artista che ama la vita tradotta in poesia. Scrive il poeta, trascinato da un’enfasi liberatoria, è l’ora delle parole:«Si avvicina silenziosa / la notte, / è l’ora delle parole, / che rimangono per sempre, / per noi, / e la penna virtuale / scrive». (È l’ora delle parole) Un sussulto emotivo che lo cattura all’improvviso facendogli provare l’immediatezza dell’ispirazione e come in trans affida tutto se stesso al verbo, che con immediatezza delinea quello che dentro detta. È così che nascono i suoi quadri, le sue poesie che non sono altro che i ritratti del suo pathos.«Il gabbiano / dispiega le ali / come vele sul mare, / si libra sul respiro del vento, / immobile e attento, / poi sale, / per cadere come fulmine nel mare, / più veloce dei pensieri / che volano in me» (Il gabbiano). I gabbiani si fanno pensieri che volano oltre i confini, là dove il poeta vorrebbe volare per sottrarsi alle aporie del quotidiano; in lui il desiderio d’infinito si fa leit motiv di tutta l’opera, un’aspirazione al volo, alla fuga verso un’isola che appaghi tutto il suo esistere. E la parola diventa attore primo con la sua energia attiva, con il suo paradigmatico senso che va oltre la parola stessa, dacché la poesia vuole qualcosa di più del semplice fatto. Questo è Fabio Recchia, il suo percorso artistico, la sua vita tradotta in arte; questo il risultato che rappresenta il suo mondo, la sua voglia di dire e di scrivere; sta nei suoi dipinti la concretezza del suo sentire, la filosofia del suo pensiero, l’amore per l’arte che per lui è vita.A cura di Nazario Pardini.L’AUTOREFabio Recchia è nato nel 1953 a Levico Terme (TN) dove attualmente vive. Poeta e pittore ha pubblicato diverse raccolte di liriche, alcune delle quali illustrate con sue riproduzioni d’arte: Riflessione, con trad. in tedesco di Christine Haidegger (2009), Sogno (2010), … e venne Natale (2012), Inno alla natura (2014), La carezza (2015), Ecce Homo (2015), Virgole d’inchiostro (2015), In principio era il Verbo (2016), Le attese (2016), Giochi di luce (2017), Il cassetto dei ricordi (2017), I colori delle parole (2017), Un amore infinito (2018), Weiss und Blau, con trad. in tedesco di Christine Haidegger (2018), In hoc signo (2018), Viaggio di un poeta in cerca di un lettore (2018). Si dedica alla pittura con varie tecniche: acquarello, acrilico, mosaico, vernice spray e tecniche miste; ha all’attivo molte mostre personali e collettive in Italia e Germania. La sua attività letteraria è trattata nei seguenti repertori letterari: Dizionario Autori Italiani Contemporanei, quinta edizione, G. Miano Editore, Milano 2017; Storia della Letteratura Italiana, quarto volume, terza edizione, ivi 2020.