Amore e dolore. La poesia di Michele Mari | L’Altrove
Ladyhawke, in italiano, donna falco. Figura che fin dall’era mitologica fu concepita come una creatura dal magico sguardo ammaliante e dalle mortali mani, ma, in particolar modo, come un’affascinante donna che l’uomo non può toccare, baciare, accarezzare, ferire, deturpare e amare. Insomma, una divina apparizione il cui amore verso di essa è inteso unicamente come contemplazione, glorificazione, esaltazione e celebrazione da parte dell’uomo, poiché esso non è degno del suo passionale e caloroso amore. Una figura – la donna falco – che è stata sempre presente nella letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri, com’è dimostrato dall’opera d’esordio Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi) edita nel 2007 dallo scrittore, poeta, traduttore e accademico Michele Mari nato a Milano nel 1955.
Amore dai toni platonici e contemplativi inteso come un luogo magico dove la sua donna riposa su un letto di fiori e dove una volta morta, le sue lacrime trasformano il suo amato in un orrendo mostro. Amore sì platonico-contemplativo fatto di gioie e di lacrime, ma anche rappresentato come una fragile creatura percorrente una strada dai vacui e insignificanti passi, che a loro volta si trasformano in trasparenti reminiscenze, che, più scavano nel suo passato e più una fitta nebbia cala innanzi ai suoi occhi. Donna falco, inoltre, che si basa su un finto amore composto di robotiche fusioni carnali prive di sentimenti ed emozioni perché sono solo nella mente del poeta, poiché in realtà la donna falco da lui tanto contemplata è uno spettro dalle brumose sembianze. Amore in poche parole, come un’energia che si trasforma in una ossessione portante l’amante nel sacrificare tutto il sangue femminile non rispecchiante la carne e lo spirito dell’amata.
Donna falco sì concepita dal poeta milanese come divina apparizione, ma, allo stesso tempo questa figura mitologica ha un suo lato oscuro che incute nel suo amante un senso d’inferiorità psico-fisica ed etico-esistenziale, poiché essa simboleggia la perfezione assoluta e lui la vacuità. Creatura animata dal glaciale e cimiteriale cuore, da preziosi sguardi inscalfibili da occhi umani e da parole taglienti emananti suoni emarginativi, poiché non apprezzano i semplici e sinceri gesti d’amore colmi di un’abbagliante luce profumata di salsedine. Cuore apatico, occhi inguardabili, parole errabonde e sessualità crudeli ma ben consapevoli della sofferenza amorosa provata dal suo cantore e della quale poco gli importa, ma anzi, lo deride e lo tratta come carne da macellare, abusare, stuprare, ferire e come ferita da lasciare sanguinare all’infinito. Sessualità infine composte di arcane verginità, che, trasformano le sue carni in preziose membra intoccabili da mani umane. Una creatura oscura, che, nelle ultime liriche della raccolta lascia i panni della donna falco per vestire quelli di un vampiro dalle femminili sembianze che risorge dalla sua tomba non degno di sguardi umani, poiché è destinato a lanciare urli nel vuoto da nessuno ascoltati. Vampiro in parole semplici concepito come una demoniaca creatura, un’umana creatura in grado di creare chimerici universi governati da amicizie, convivialità, fratellanze, amori e un’avida creatura succhiante il sangue del suo amante fino a trasformarlo, in un eterno ricordo da conservare gelosamente nel suo cadaverico cuore. Donna falco in conclusione concepita come una creatura divina e demoniaca, che conserva per l’eternità negli occhi del suo amante gli amori da essa mai ricambiati.
Poesia, quella di Michele Mari, che continua con la raccolta Dalla cripta (Einaudi) del 2019.
Opera dove la cripta e più in generale il sepolcro, si caricano di un messaggio metafisico che va oltre la semplice semantica necrofora, ovvero luogo dove le nostre membra saranno accolte e riscaldate durante l’eterno sonno. Luogo, la cripta, che rimanda alla poetica ferrettiana di Allergia e Deoso perché simboleggia il doloroso ventre dal quale è nato l’Uomo e dal quale deve ripartire per consumare al meglio la sua esistenza, poiché il dolore è una parte fondamentale della nostra Vita senza la quale non potremmo definirci esseri umani dotati di carne, spirito e intelletto. Dolore che è qui rappresentato attraverso le sezioni Rime amorose, Altre rime, Esercitazioni comiche, Scherzi, Versi d’occasione, Atleide e la versione in endecasillabi sciolti del XXIV canto dell’Iliade. Nella prima sezione il dolore prende le forme dell’amore dal poeta visto come una demoniaca ombra, che lascia impresse nelle nostre morte carni le dannate e luminose ombre di coloro che abbiamo amato in vita, senza però nessuna lacrima versata dallo spirito. Amore che da ombra muta in creatura vivente dalle mortali parole che uccidono i profumi e i sapori, ma in particolar modo soffocano le emozioni custodite nel cuore degli Uomini per trasformarli nei suoi schiavi. Creatura infine consumante il suo amore attraverso lacrime, brume e dolci reminiscenze dalle abbaglianti sinuosità, dagli umidi profumi, dalle sconvolgenti emozioni e dalle divine passioni colme di puri e veri sentimenti amorosi. Creatura oscura e luminosa allo stesso tempo grazie alle sue bambinesche forme che mai il poeta vorrebbe abbandonare, poiché sa nel suo cuore che essa è la vera esistenza a differenza dell’età adulta composta di cammini in perenne decomposizione. Nella seconda sezione, il dolore, è visto come uno straziato lamento che tutto divora e conserva nell’abisso più oscuro per poi un giorno, alla luce tutto far risorgere con membra purificate. Dolore qui visto anche con le sembianze dell’oscura e scheletrica mietitrice, che ci trasforma in passivi spiriti sottomessi a rimembrare il nostro passato e ascoltare le umane voci dei nostri viventi affetti, ma in particolar modo spiriti a cui non è concesso di poter piangere e provare emozioni. Nella terza sezione, il dolore, è inteso come la critica letteraria a volte odorante di sterco che affoga e rinchiude le sane critiche letterarie nel carcere immaginario di Bagnolo, ovvero nella letamosa, vacua e insignificante casa delle false critiche letterarie. Dolore qui visto inoltre come il sesso trasgressivo e illegale, ovvero, come l’immonda fusione carnale creante pargoli simili eticamente, socialmente e umanamente ai padri che li hanno messi al mondo.
Nella quarta sezione, il dolore, è poetizzato attraverso la cicoria rappresentante l’amara Vita terreste schiaffeggiata da venti velenosi, ingrassata da cibi tossici e musicata da neniose melodie. Nella quinta sezione l’occasione diventa un sadico gioco che colpisce i deboli trasformandoli in vittime sbeffeggiate da parte di oscuri uomini dal cimiteriale cuore, dagli insignificanti sguardi e dalla depravata sessualità. Sesta sezione che è sviluppata come un poema di 1.148 versi e che tratta, la vita dell’ex calciatore milanista Mark Hateley dal poeta vista come un’esistenza folle, estrema, allucinata e drogata. Opera infine chiusa dal XXIV canto dell’Iliade in endecasillabi sciolti. Canto quello di Omero in cui è trattata la restituzione del cadavere di Ettore al padre Priamo da parte di Achille e dei suoi funerali crematori. In particolar modo il dolore rappresentato è quello del padre Priamo, che pur di riprendere il cadavere del figlio sacrifica i suoi onori imperiali innanzi a Achille e così facendo può omaggiare il cadavere del figlio con un degno e imperiale rito funebre, che gli permetterà di conservare per sempre nel cuore lo spirito del figlio Ettore.
A cura di Stefano Bardi.
Bibliografia di Riferimento:
MARI MICHELE, Cento poesie d’amore a Ladyhawke, Einaudi, Torino, 2007.
MARI MICHELE, Dalla cripta, Einaudi, Torino, 2019.