Poesie ritrovate

Poesie ritrovate: Fernanda Romagnoli | L’Altrove

Fernanda Romagnoli, dimenticata poetessa, è una delle più grandi voci del Novecento italiano, con il potere di folgorare il lettore con la sua poesia.

Nata a Roma il 5 novembre 1916, si diploma in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia della capitale.
Nel 1943 pubblica la sua prima raccolta, Capriccio, con l’editore Signorelli.
Nel frattempo fa parte della redazione di alcune riviste del tempo, come La Fiera Letteraria. Nel 1973 pubblica per Guanda Confiteor, raccolta premiata da Vittorio Sereni.
Sette anni dopo, Attilio Bertolucci, da lei considerato il proprio maestro, la consacra facendo pubblicare con Garzanti Il tredicesimo invitato, la sua opera più importante.
Sempre Bertolucci, in un’intervista del 1991, afferma: «Preferisco non fare nomi. O forse potrei limitarmi a due donne di sicuro valore: Alda Merini e Amelia Rosselli, cui vorrei aggiungere Fernanda Romagnoli che è una poetessa che è morta e non ha ancora avuto quello che merita».
Purtroppo, infatti, la poetessa viene via via dimenticata, si ammala di epatite e si spegne a Roma nel 1986.

C’è nella poesia di Fernanda Romagnoli una forte tensione emotiva, una potenza inaspettata. La forza nel verificare arriva all’estremo travolgendo chiunque legga.

Donatella Bisutti curatrice della nuova versione de Il tredicesimo invitato e altre poesie (2003) descrive la poesia della Romagnoli in questo modo: «È una poesia dell’anima, dello spirito, dell’energia incontenibile dello spirito.»

Da ciò non comprendiamo come sia possibile che tale autrice possa essere accantonata. Allo stesso tempo è vero che la poetessa, già in vita, rifiutava qualsiasi salotto letterario, rimanendo nella sua Roma. Gli unici contatti con alcuni letterati degli anni (Bertolucci in primis, o Nicola Lisi) lì ebbe attraverso delle lettere.

Sembra quasi un’autopunizione inflittasi, dettata forse dal matrimonio con un militare o da un carattere taciturno e introverso che trova il suo linguaggio, la sua esplosione nella scrittura. Questo lo deduciamo anche solo dai titoli scelti per le raccolte pubblicate. Il Confiteor, ad esempio, è la preghiera penitenziale della celebrazione eucaristica, Il tredicesimo invitato indica qualcuno che non dovrebbe esserci, perché semplicemente porta sfortuna.

Allo stesso tempo non si può dire che la poesia della Romagnoli sia pacata, stretta nello schema di una vita vissuta in solitaria. È chiaro, quindi, che la poetessa trova nel verseggiare la propria vocazione, il modo per rendere visibile quel genio, quel valore insito in lei.

È in poesie come Falsa identità che dà prova di questo. Fernanda si distacca da un mondo che non le appartiene (io sono già morta / da viva) e ricalca il tema della morte, molto spesso trattato. In una poesia dedicata al padre la poetessa, invece, scrive:

Così mio padre mi s’accende accanto
nel buio che mi fascia.
“Vieni per dare o per chiedere?” m’affanno
“È la medesima cosa!

Quindi la poesia di Fernanda marca quell’oltre che le fu precluso nella vita. Il grido della poetessa giunge ancora chiaro e comprensibile.

Senza pietà, senza pietà, Signore,
il Tuo immenso lasciarmi. Senza fine,
senza fine il mio grido
Ti voglio!
scrive in Senza requie, oppure:

ed io, abbagliata, più non mi difendo
– confitta nel limo terrestre
come uno spino -.

in Quando.

Un grido lacerante, soffocato, che solo nel pensiero della morte trova come uscire fuori, prepotente, invadendo il resto.

io – che piangete morta.
Invaderò la casa: un solo giro
come fa il lampo.

in Avvento

E tu già stavi
disciolta da noi vivi. Verso incerte
balugini dischiusa. Maturavi
sola – nella placenta della morte

in Sola.

È una terribile pena quella a cui Fernanda è stata condannata. Una donna che viva si ritrova morente, sepolta ancora fremente.

otre di sangue
già mezzo vuoto – come scalci ancora
forte, mia vita.

Da Capro espiatorio

Quella donna dal viso indifeso
Un poco sfiorita-
che passa nello specchio
in una scolorita veste rossa,
senza fruscio, di fretta,
rialzando sul capo i capelli
con mano distratta:
quella donna dall’anima dimessa
dicono che son io.

Ed anche l’amore è un sentimento sofferto, fatto di gelosie quasi adolescenziali, che definiscono meglio il quadro caratteriale della poetessa

Se tu l’ami, lei non ha colpa.
Ma io – la vorrei morta.

in Lei.

o da perentorie esclamazioni di colpevolezza:

Meglio
ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.

Donatella Bisutti, grande estimatrice della Romagnoli, ci mette di fronte ad una certezza dicendo: «Forse lo spirito di Fernanda ha ancora bisogno di placarsi e non riesce a farlo. Forse è ancora alla ricerca di un perdono.»

Anche noi lo crediamo, come crediamo che questo spirito abbia bisogno di essere riscoperto e mai più nascosto.

Fortunatamente per la rivista Nuova Corrente di Interlinea è uscito recentemente “Ogni gloria e misura sconvolgendo.” Studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, un volume che propone una rilettura della sua poesia con alcuni inediti e approfondimenti.

Di seguito vi proponiamo la lettura di alcune poesie di Fernanda Romagnoli

Falsa identità

Falsa identità
Prima o poi qualcuno lo scopre:
io sono già morta
da viva. È di donna straniera
la faccia tra i capelli in giù sporta
che subito si ritira,
l’ombra che dietro le tende
s’aggira di sera,
il passo che viene alla porta
e non apre. Suo il canto
che intriga i vicini coprendo
i miei gridi sepolti. Qualcuno
prima o dopo lo scopre. Ma intanto…

Lei a proclamarsi non esita,
lei mostra il mio biglietto da visita.
Io nel buio, in catene, a un palmo
da voi di distanza, sul muro
graffio questa riga contorta:
testimonianza che mio
era il nome alla porta, ma il corpo
non ero io.


Il tredicesimo invitato

Grazie – ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto qui come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano – lui ascolta.
Fra tante risa – cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori,
si sente grato se alcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito «Sto per piangere!»
E all’improvviso capisce
che siede un’ombra al suo posto:
che – entrando – lui è rimasto fuori.


Ad occhi chiusi

E mentre dormi, e dura l’armistizio
fra l’anima ed il corpo suo sudario,
vorrei scenderti in petto, mescolarmi
allo stormo dei palpiti al comizio
dei sentimenti. In balìa, sorpreso
senza sigilli: stai come un diario
di bordo pieno d’isole e di venti,
come un albero offerto al plenilunio.
Terribile e indifeso (questo taglio
fra i cigli, fino all’animia…) E non oso
più decrifarti. Sacro
– simile a morte – il tuo riposo. Meglio
che incognite le sigle, che i cifrari
siano confusi. Meglio
ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.


Niente

Morte, se vieni per condurmi via,
lascia che ombra su ombra
io ripercorra la gente.
In quest’incrocio di rotte
casuali, ci siamo incontrati
– fra vivi – così inutilmente.
Per migliaia di giorni,
ogni giorno:
all’andata, al ritorno.
Per migliaia di notti,
ogni notte,
coi ginocchi, coi fiati.
Non ci siamo scambiati
niente.


Lei

Lei non ha colpa se è bella,
se la luce accorre al suo volto,
se il suo passo è disciolto
come una riva estiva,
se ride come si sgrana una collana.
Lo so. Lei non ha colpa
del suo miele pungente di fanciulla,
della sua grazia assorta
che in sè non chiude nulla.
Se tu l’ami, lei non ha colpa.
Ma io – la vorrei morta.

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