Questi versi tratti da una raccolta poetica ancora inedita di Giada Giordano si configurano come un’intensa esplorazione dei territori dell’anima, dove la dimensione biografica si intreccia con una riflessione più ampia sul senso dell’appartenenza e del tempo. La poeta romana, classe 1989, costruisce attraverso questi versi una cartografia emotiva che oscilla tra il ricordo e l’anticipazione, tra la concretezza dei luoghi e l’evanescenza del sogno.
Il registro linguistico di Giordano si distingue per una sostanziale fluidità narrativa che non rinuncia mai alla densità lirica. La sua è una voce che procede per accumuli e digressioni, seguendo il ritmo naturale del pensiero che si dipana tra presente e memoria. Non stupisce che molti componimenti si aprano con formule di attesa o di invocazione (“Lascia che vada incontro la mia voce”, “Forse ci rincontreremo ancora”), quasi a sottolineare la natura dialogica di una poesia che costantemente si rivolge a un tu sfuggente ma necessario.
Particolarmente significativa appare la ricorrente presenza di paesaggi marini e mediterranei, che fungono da correlativo oggettivo di stati d’animo complessi. Il mare, la riva, il maestrale non sono semplici elementi descrittivi, ma divengono spazi simbolici dove si consuma l’incontro tra il sé e l’altro, tra la solitudine dell’io poetico e la ricerca di una comunione impossibile. In questo senso, la geografia di Giordano è sempre anche una topografia sentimentale.
La struttura compositiva rivela una predilezione per il verso lungo e la stanza ampia, che permettono alla poeta di sviluppare un discorso articolato senza frammentazioni eccessive. È una scelta che tradisce l’influenza di una certa tradizione novecentesca, da Luzi a Bertolucci, ma filtrata attraverso una sensibilità contemporanea che non teme di affrontare temi universali come la maternità, l’attesa, la nostalgia con un linguaggio al tempo stesso diretto e metaforicamente ricco.
Merita particolare attenzione la sezione finale, dove l’elemento autobiografico si fa più esplicito attraverso il ricordo dell’infanzia e della formazione poetica precoce. Qui Giordano compie un’operazione di meta-riflessione sulla propria vocazione letteraria, guardando alla bambina di otto anni che scriveva illuminata dall’abat-jour come a una figura già segnata dal destino poetico. È un topos antico, quello della vocazione precoce, ma reso con freschezza e senza compiacimenti retorici.
Gli inediti nel loro complesso testimoniano una maturità espressiva notevole per un’autrice ancora giovane, capace di coniugare l’urgenza del dire con la pazienza della forma, l’immediatezza dell’emozione con la costruzione di un universo poetico coerente e riconoscibile. Giada Giordano si propone così come una delle voci più promettenti del panorama poetico italiano contemporaneo, portando nella sua scrittura quella tensione tra radici e ricerca che contraddistingue le esperienze letterarie più autentiche.
Lascia che vada incontro la mia voce
che chiarifichi sulla soglia, faccia giorno
sui nostri corpi, come nelle mani
in cui siamo stati, ci ritroverà forse,
per distese che neanche io conosco
velate di malinconia, lì dove vivono
i miei sogni, terra altra che mi abita,
parlerà oltre confine di te e sarà apparente
questo fingersi esuli sulla Terra
questo eterno peregrinare
che potrai dirmi di non conoscere
o credere vicini questi passi
oppure lasciare che gli vada incontro
e amarmi come ti amo
e perdonarmi ancora
questa evanescenza carezzevole
questo lascito che in pochi leggeranno
con il tuo nome e sarà uno scoprirsi
fragili, un dirsi unicamente figli
di questi anni.
Forse ci rincontreremo ancora
là sulla riva del mare e ci ricorderà
questo mio averti veduta come in sogno,
di che pasta sono fatti i destini:
miriadi di fili intrecciati tra le dita,
che sembrerà non sia passato un solo giorno
da questo nostro incontro,
ma tu non fingere di non avermi avuto
accanto, di non sapere cosa significhi
l’attesa del giorno, l’odore del buon mirto
invecchiato, come di un amico lontano
che tende la mano per salutarci,
lì dove il maestrale è di casa e il Megonio
saprà di attese di anni e speranze
incustodite in fondo al cuore
che parleranno di te come a me
ai figli di domani, di questa terra, la tua,
questa resa che dà colore ai giorni,
che ci illumina forte sul viso
tra i capelli e gli occhi scuri
verrà come vieni tu dal mare
e sarà il vociare indistinto dei bambini
il gridore dei gabbiani al primo sole
il risolino nei paraggi dei vicini di ombrellone
e sarà inverno con la mareggiata,
le prime nebbie di umidità al mattino
la luce offuscata e tu in penombra, che vieni
nel cammino, come di stella
che si eclissa dietro al sole, o
una speranza timida nel ricordarci.
Casa avrà il sapore di una terra lontana
forse un’isola, nel crocevia di strade,
vedrà un manipolo di attese colte ieri
come colsi l’eco dei nostri passi
in una terra di confine
questo eterno dirottare verso altre gravità
il mondo, su assi sparsi,
e come immagine, sogno,
l’ombra delle luminarie tra i cipressi
della legna arsa nel camino
il crepitio del fuoco e l’odore
della resina lavata nel mattino
sotto la pioggia un gomitolo di case
tra le prime nebbie e il sole
crepuscolare sarà come la quiete
la radura che tinteggia a notte Roma
che illumina te che mi osservi
e questo dirsi nudi, questo raccontarti
di me, di questo nostro viaggio.
Qui giace l’ora della vendemmia,
del grano non più maturo, le sementa.
Qui è dove ti trovo e scrivo
di te, di questi non troppi anni.
Altrove ho lasciato questi passi
si accavallassero e scrivo
di questo lungo lascito che è la vita,
dell’uomo non più maturo, di chi con lui
cammina, ricurvo,
come all’alba dei suoi anni.
Rivedere così nelle molte primavere
così simili questo nostro giorno
e sapere di ogni piccola specie
ogni habitat, così coglierne
la poesia che segue;
ma tu vieni un giorno che ti aspetto
e abbraccia persino questo mondo
che a tratti ignoro, chi pure non conosco,
e guardalo tornare a casa, alla semina
che altrove, più avanti, rincontreremo,
e alle altre vie che non conosco,
che non comprendo.
A te vengo come posso nelle sere
in cui meravigliosamente attendi
quasi un cenno che faccia strada
su per il mondo in cui siamo stati
prima di scoprirci così simili
nei pressi di piazze di alabastro
e vicoli marmorei, tra guglie
e campanili di chiese e città
disseminate per il mondo
tra le più sparse o strettoie di case,
strade di periferia, per quartieri vicini
e vie che scalpitano di ricordi bambini,
tra i contorni vividi, non più attigui, di luoghi
che ho lasciato mentre fuori al crepuscolo
scrivo ancora pregna del sentore di qualcosa
da lasciare forte come fosse qui ora
a rischiarare l’aria o a spingerla a risollevare
l’immagine di un viaggio che ancora si compie
e parla con questi passi di figlia
di questa loro poesia
che è Duemila anni che ti aspetta.
Camminare come se del giorno
poco importi
che seguire un guizzo verso sera
un contorno che balugina tra le carte
per la strada dove conducono
certe notti, tra le segrete e le stanze,
tra lo scrittoio e il tavolo della cucina.
Tuo figlio dorme
e Roma è sospesa
e fuori è un manipolo di carte, una luce
sul comodino rischiara un domani
che possa illuminarti, rendere chiara persino l’idea
di ciò che incontreremo
noi che camminiamo ancora
ancorati ad un viaggio
che vogliono terreno
contiamo sul palmo delle dita
cosa rimane alla fine, per chi crede,
sapremo raccontarlo
anche a chi appena venuto
si accinge a compierlo.
Vivere così in una terra di confine, quasi
le attese di gioventù, sull’uscio, gli anni
e un diario a custodirne, troppo pochi
forse se oggi, madre, tieni a cuore
una manciata di poesie nei vani di una casa,
lì nell’ombra.
Da una finestra che dall’alto guarda, vigile,
il nespolo, la cycas, le piante in fiore,
ed annota la mano su un foglio
come le impressioni da scrivere
per non morire.
Crescono le speranze, la natura intorno
e un profumo inebria di più odori ed agita
le palme al vento, te che lo respiri,
mentre torna a casa come l’immagine, un sogno
di te, di ieri
Tutta la strada si apre, i giorni si compiono
ti sorprende guardare dall’alto della finestra della
tua camera di bambina la donna che sei, traccia
come una linea il contorno, l’ellittica attorno
la tua figura. Fuori piove. Fine maggio
di sorprese e calda gravità, e l’aria si fa uno scroscio,
una gnagnarella leggera che cade.
Non conosci del domani le attese meno gravide, le
domande. Alle volte ti sorprende come il sottrarre
il peso ai giorni, all’ipocrisia degli altri, alla poesia che sei,
se non altro, anche se non lo sai.
Ti ricorderai dei tuoi otto anni, su quella scrivania,
la sera illuminava l’abat-jour, faceva capolino la mancanza,
un sogno. Dille, raccontale di lei, fa che non dimentichi,
la strada è tracciata, il destino compiuto.
L’AUTRICE
Giada Giordano nasce a Roma nel 1989.
A tredici anni vince la Menzione d’Onore al Concorso Nazionale di Poesia “Un fiore per voi”, indetto dal Comune di Cervia.
Nel 2014 viene selezionata per il corso di scrittura creativa indetto da Rai Eri.
Nel 2015 vince il Poetry Slam al Roma Fringe Festival. Suoi testi sono apparsi sulle riviste online e cartacee “Atelier online”, “Voce Romana”, “Euterpe”, “Patria e Letteratura”, “Poetarum Silva”, “Our Poetry Archive”, “Galaktica Poetike Atunis”, su “Arcipelago Itaca blo-mag”, su “L’Astero Rosso, luogo di attenzione e poesia”, su “Fara Poesia”, su “Poetrydream” di Antonio Spagnuolo, sul “Journal of Italian Translation” dell’Università di New York, sul “Periodico de Poesia” dell’Università del Messico, su “Gradiva. International Journal of Italian Poetry” con sede a New
York e su “La Repubblica” di Bari. Un ulteriore componimento poetico figura negli Archivi del Centro Nazionale Studi Leopardiani. Alcune sue poesie sono state tradotte in spagnolo dal Centro Culturale T. Modotti. Un suo testo è apparso in occasione dell’Anniversario di Verso Libero. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati sulla Rivista Internazionale “Il Convivio”. Ulteriori suoi testi sono apparsi su riviste estere: in Germania, Egitto, Bangladesh, Tagikistan, India, America. “A mio figlio”, una selezione di poesie dedicate al figlio, è apparsa anche su testate giornalistiche online. È risultata finalista in vari premi di poesia: Tea Poetry 2015, Premio Belli 2016, Premio Mario dell’Arco 2017, Premio Versus Sulmona 2017 e Premio Arcipelago Itaca 2017. È autrice anche di racconti. Per la narrativa un suo testo figura sul Periodico di Informazione e di Attualità di Teramo “Navuus”. Si dedica inoltre alla stesura di saggi e di un romanzo. Ha ricevuto Menzione di Merito per essere tra i migliori Laureati Italiani in Camera dei Deputati dalla Fondazione Italia USA.