Tu mi sei affine tutto, da parte a parte, terribilmente e angosciosamente affine, come io a me stessa – senza asilo, come le montagne. (Non è una dichiarazione d’amore: di destino).
Un legame oltre il tempo e lo spazio
Il sodalizio epistolare tra Marina Cvetaeva e Boris Pasternak rappresenta uno dei momenti più intensi e complessi della letteratura europea del XX secolo. Tra il 1922 e il 1936, i due poeti russi intrattennero una corrispondenza che, pur essendo prevalentemente epistolare, trascese i confini della semplice amicizia o collaborazione letteraria, configurandosi come una profonda comunione spirituale e artistica. Questo legame, alimentato dalla reciproca ammirazione e da un’intensa affinità poetica, si sviluppò in un periodo storico segnato da profondi sconvolgimenti politici e culturali, che influenzarono inevitabilmente le vite e le opere di entrambi.
Marina Cvetaeva: la poeta dell’esilio
Nata a Mosca nel 1892, Marina Cvetaeva crebbe in un ambiente intellettuale e artistico. Figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev, fondatore del Museo di Belle Arti di Mosca, e di Marija Aleksandrovna Mejn, pianista di talento, Marina sviluppò fin da giovane una passione per la poesia. La sua vita fu segnata da eventi tragici: l’esilio, la povertà, la perdita della figlia Irina durante la carestia del 1919 e, infine, il suicidio nel 1941. La sua poesia, caratterizzata da una profonda intensità emotiva e da una straordinaria maestria formale, riflette le turbolenze della sua esistenza e del suo tempo.
Boris Pasternak: il poeta della resistenza interiore
Boris Pasternak nacque a Mosca nel 1890 in una famiglia ebraica assimilata. Suo padre, Leonid Pasternak, era un noto pittore, mentre sua madre, Rosa Kaufmann, era una pianista. Dopo aver studiato filosofia all’Università di Mosca e all’Università di Marburgo, Pasternak si dedicò alla poesia, sviluppando uno stile unico che combinava lirismo e profondità filosofica. La sua opera più famosa, Il dottor Živago, gli valse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1958, ma anche l’ostracismo da parte del regime sovietico.
L’inizio della corrispondenza: un incontro di anime
Il primo contatto tra Cvetaeva e Pasternak avvenne nel 1922, quando Marina, in esilio a Berlino, lesse alcune poesie di Boris e gli scrisse per esprimergli la sua ammirazione. Da quel momento iniziò una corrispondenza intensa e appassionata, che si protrasse per oltre un decennio. Le lettere tra i due poeti non erano semplici scambi di opinioni letterarie, ma veri e propri dialoghi esistenziali, in cui si confrontavano su temi come l’amore, la poesia, la fede e il destino.
In una lettera del 14 giugno 1922, Pasternak scrive:
Mentre leggevo a mio fratello il tuo “so che morirò al crepuscolo, quale dei due?”, la voce mi tremò e un’onda di singhiozzi a lungo trattenuti mi salì alla gola, mozzandomi il fiato come uno sconosciuto che entra all’improvviso nella stanza.
Cvetaeva risponde il 29 giugno 1922:
La prima cosa che ho percepito, sfiorando la pagina con lo sguardo, è stata una contestazione. Qualcuno si ribellava, qualcuno esigeva una risposta: non avevo pagato un debito. Il mio cuore si è stretto di disperazione.
Questi scambi rivelano la profondità del loro legame, che trascendeva la semplice amicizia o collaborazione artistica, configurandosi come una vera e propria comunione spirituale.
La poesia come forma d’amore
Nel corso della loro corrispondenza, Cvetaeva e Pasternak svilupparono una concezione della poesia come forma suprema di amore. Per loro, la poesia non era solo un mezzo di espressione artistica, ma anche un modo per comunicare l’ineffabile, per connettersi a un livello più profondo.
In una lettera del 4 aprile 1926, Pasternak scrive:
Oh, come ti amo! Così semplicemente, così come tu ami me, ecco. Tu sei mia sorella, il mio primo amore, mia moglie, mia madre — e tutto ciò che una donna è mai stata per me. Tu sei la Donna.
Cvetaeva, pur mantenendo un tono più riservato, esprime un’ammirazione profonda per l’opera di Pasternak. In una lettera del 1° maggio 1926, scrive:
«Non scriverò su di noi adesso. Mi comporterò come un’amica vera. Ma sappi che il tuo “Par-dessus les obstacles” è un miracolo. Boris, questo libro devo averlo, anche se dovessi rubarlo.»
Per entrambi, la poesia diventa il corpo vivente del loro amore impossibile, un modo per superare le barriere fisiche e spirituali che li separano.
L’assenza come spazio creativo
Nonostante l’intensità del loro legame, Cvetaeva e Pasternak non si incontrarono mai di persona durante il periodo della loro corrispondenza. Questa distanza fisica divenne una componente essenziale del loro rapporto, alimentando la tensione emotiva e creativa che permeava le loro lettere.
In una lettera di maggio 1926, Pasternak confida:
«Potevo e dovevo nascondertelo fino al nostro incontro: non potrò mai più smettere di amarti, sei il mio unico cielo legittimo e mia moglie, legittima fino alla follia che la parola stessa racchiude.»
Cvetaeva, da parte sua, esprime il timore che un incontro reale possa spezzare la magia del loro legame:
«Mai prima d’ora sono stata così terrorizzata da un incontro come lo sono dalla nostra. Non riesco a vedere dove possa aver luogo. La tua idea era geniale: Rilke.»
Questa scelta di mantenere la distanza fisica può essere interpretata come un modo per preservare la purezza e l’intensità del loro legame, evitando che la realtà potesse contaminare la loro comunione spirituale.
L’influenza reciproca e l’eredità poetica
La corrispondenza tra Cvetaeva e Pasternak non solo influenzò profondamente le loro vite personali, ma lasciò anche un’impronta indelebile nelle loro opere poetiche. Cvetaeva, ad esempio, trasformò l’esperienza amorosa in immagini cosmiche nelle poesie di Razluka, mentre Pasternak conservò il riverbero di Marina nella figura di Lara ne Il dottor Živago.
In una lettera del 14 giugno 1924, Pasternak celebra Cvetaeva con parole commoventi:
Marina, amica mia tutta d’oro, prodigio soprannaturale, predestinazione fraterna, anima del mattino fumante, Marina, mia martire, mia pietà, Marina.
Queste parole testimoniano la profondità del loro legame e l’influenza reciproca che esercitarono l’uno sull’altra, sia a livello personale che artistico.
Il triangolo poetico con Rainer Maria Rilke
Un elemento significativo della relazione tra Cvetaeva e Pasternak fu l’inclusione del poeta austriaco Rainer Maria Rilke nel loro scambio epistolare. Nel 1926, su iniziativa di Pasternak, Cvetaeva iniziò a corrispondere con Rilke, dando vita a un intenso scambio di lettere che durò fino alla morte di Rilke nel dicembre dello stesso anno.
Questo triangolo epistolare rappresenta un momento unico nella storia della letteratura, in cui tre delle più grandi voci poetiche del Novecento si confrontarono su temi fondamentali come la poesia, l’amore e il destino. Le lettere tra Cvetaeva e Rilke, in particolare, mostrano una profonda affinità spirituale e una comune concezione della poesia come forma di trascendenza.
La fine della corrispondenza: silenzi, distanze, tragedie
Negli anni Trenta, il tono della corrispondenza tra Cvetaeva e Pasternak cambia. La crescente repressione staliniana, le difficoltà economiche e l’isolamento in cui entrambi si trovarono — lei in esilio in Francia e poi a Parigi, lui sempre più sotto sorveglianza in URSS — portarono a una rarefazione dei contatti.
Nel 1935, Cvetaeva accettò di rientrare in Unione Sovietica con il figlio. Fu una scelta drammatica, segnata dal desiderio di tornare in patria e di ricongiungersi con la figlia Ariadna. Tuttavia, la realtà sovietica si rivelò molto più crudele: nel 1939 il marito Sergej Efron fu arrestato e giustiziato, mentre la figlia fu deportata. Cvetaeva visse gli ultimi anni della sua vita nella miseria e nel sospetto.
Anche Pasternak visse in un clima di paura e autocensura. Pur essendo una delle voci più amate della poesia sovietica, fu costretto a rivedere alcune delle sue opere per adeguarsi alle richieste del regime. Il suo “Dottor Živago”, rifiutato dalle case editrici sovietiche, uscì in Italia nel 1957 grazie a Giangiacomo Feltrinelli, e gli valse il Premio Nobel nel 1958 — premio che fu costretto a rifiutare sotto pressioni politiche.
La morte di Cvetaeva, suicidatasi il 31 agosto 1941 a Elabuga, segnò la fine tragica di una vita consacrata alla poesia e al sacrificio. Pasternak, pur sopravvissuto alla sua epoca, non superò mai del tutto il trauma di quella perdita.
Un corpo fatto di lettere: eredità di un amore impossibile
La relazione epistolare tra Cvetaeva e Pasternak resta uno dei documenti più straordinari della letteratura del Novecento. Attraverso le lettere, entrambi costruirono un “corpo” comune — un corpo fatto di parola, desiderio, visione, fedeltà poetica. Come ha scritto Elena Mazzoni nella sua introduzione all’edizione italiana della corrispondenza:
«Quelle lettere sono, per entrambi, un corpo vivo da amare e custodire. Scrivere è diventato, per Cvetaeva e Pasternak, il gesto dell’amore stesso: un modo per incontrarsi dove la realtà non concede spazio.»
In questo senso, le lettere non solo testimoniano un rapporto unico, ma diventano anche una forma poetica autonoma, un luogo dove la scrittura raggiunge la sua massima vocazione: essere atto d’amore, comunione, resistenza.
Due voci, un solo respiro
La vicenda poetica e umana di Marina Cvetaeva e Boris Pasternak ci restituisce l’immagine di un amore assoluto, fatto di parola, attesa e distanza. Un amore mai consumato nel corpo ma eternato nella scrittura.
Le loro lettere non sono soltanto testimonianze personali: sono poemi dialogici, frammenti di un’opera mai scritta a quattro mani ma continuamente evocata, nutrita di versi, eco e silenzi.
«Il nostro unico corpo è questa lettera.» — si legge in una delle ultime missive di Cvetaeva.
Quel corpo epistolare, fragile e invincibile, sopravvive oggi come esempio straordinario di come la poesia possa essere non solo espressione, ma esistenza condivisa. Una forma d’amore capace di resistere all’esilio, alla censura, alla morte.