7.
Scrivo un messaggio a Dio, lo scrivo
pensando a cosa potrei dirgli, chiedo
di capire, capire me stesso e il vuoto
che mi circonda. Lui forse sa, forse lui
sì, conosce il senso di ogni cosa, ecco,
anche le più insensate, io non so più,
lo chiedo a Dio, con la mente bruciata,
invio un segnale, una richiesta urgente
di soccorso. Non voglio niente altro.
Non voglio nemmeno essere salvato.
Non sono pronto ad affrontare il dopo,
quel che sarà nel deserto della prossima
disumanità. Io chiedo a lui soltanto:
Perché?
Potrebbero volerci secoli perché arrivi il messaggio.
Potrebbero volerci millenni perché giunga una risposta.
Sarò paziente, saprò aspettare. Canterò senza parole.
Un puro suono scivolerà dalla mia bocca
verso il cielo, più in alto ancora, oltre l’aria,
oltre lo spazio scuro, oltre le stelle frantumate,
oltre ogni oltre, più in là, più su, fino a che
giunga a Lui la mia domanda e la risposta
afferri il suono e ridiscenda fino a me
dentro la gola, il petto, squassi la mente,
acquieti questo mio cuore ansioso e disperato.
E nel tempo lunghissimo dell’attesa
saprò già che tutto si sarà consumato.
Ma la mia polvere allora e soltanto allora,
brillerà in questo buio e libera saprà volare.
Mando un messaggio a Dio e lo ringrazio.
Sembra stupido e vano: ma cos’altro resta,
quando tutto diventa così disperatamente
inutile, cos’altro,
se non la folgorante idea di Dio?
14.
Improvvisamente esplode per le strade
il gran carnevale dell’estate, gran fuga
di coscienze, corpi liberati all’ammasso
solare, tripudio belluino di discoteche,
summit di terrapiattisti espertissimi
scienziati dell’imbecillità, Epicuri
d’accatto spalmati di creme solari,
esperti in falsificazioni d’arte urlano:
Libertà! Libertà! Libertà! Taratatà!
Intanto si continua a crepare nascosti
nei lazzaretti dimenticati ma tanto
chi se ne frega. Cartesio nel cesso.
Kant è la parodia di un cantante trap.
Del pensiero debole rimane l’idiozia.
Oggi a te, domani a un altro. Mai a me.
Ecco la rimozione nazionalpopolare
che svelle la morte dalla realtà, ahimè,
ecco sulle dune di sabbia il cavaliere
Block ridotto a un giullare in bermuda,
ecco che la scacchiera salta in aria
e i pezzi schizzano dappertutto. Re,
regine, alfieri, cavalli, torri, pedoni,
tutto il mondo sparpagliato in aria
e poi a terra, senza riquadri né regole,
“Que serà serà” finché si può. Ohibò.
Finché poi: “Piove governo ladro!”
Tutti al riparo. È un gran complotto.
Filosofi da bar invadono i talk show.
Scienziati dell’Università della Strada
sentenziano supercazzole reboanti.
Ed io? Io chiudo le finestre, chiudo
le imposte, chiudo le orecchie, chiudo
gli occhi e mi faccio un caffè forte.
Suono My funny Valentine in tempo.
IX.
Assistimi o Dio, in quest’ora
declinante del giorno che sfuma,
mentre attraverso la luce morente,
mentre tutto si smorza e anche io
sento dissolvere ogni volontà.
Dammi la forza di rientrare,
di non perdermi, sfogliarmi,
abbandonarmi per strada,
sdraiarmi sul marciapiede,
aspettando senza più attesa,
vinto dalla rosa malinconia
che dalle tasche m’è cresciuta
fino alla gola, spinosa, dura,
aggrovigliata, apaticamente
dolente, irta d’abbandono.
Assistimi o Dio, in quest’ora,
quando tutto il tempo sfinisce,
sembra morire dissipandomi,
e dentro e fuori, tutto è uguale
a morte, rinascita, consumazione.
Apri le porte all’inatteso
bagliore della notte chiara,
rendimi freddo e forte,
come quella stella lontana,
che vive ancora oltre la morte,
e illumina anche la mia illusione.
Dalla sezione E fu sera e fu mattina
È così fragile ogni vita, filo di seta
facile a bruciarsi e dissolversi, filo
che si lega ad altri per resistere,
così s’intrecciano esistenze in corpi
di fulgente bellezza che decade sempre.
È così fragile ogni vita, sfuma la mente
come un’immensa biblioteca corrosa
tra pagine e pergamente incomprensibili,
archivio scompigliato dagli eventi,
papiro srotolato in abbaglio eterno.
Allo specchio si riflettono giovani
che non sanno vedere il presagio
del tempo che sfalda e corrode,
per fortuna si lanciano sfrontati,
correndo eterni verso l’infinito.
Se potessimo vedere il volto scuro
che la luna nasconde da millenni,
conosceremmo lo spavento, il pianto
ad ogni giorno in albe mostruose.
È fragile ogni vita, ma che gioia,
fingere che un momento duri sempre,
svegliarsi con sorpresa e poter dire:
“E fu sera e fu mattina, un nuovo giorno”
Ogni suono scompare nel silenzio,
un fruscio d’ali risuona nella mente,
milioni di formiche scrivono nella terra
tutte le variabili perdute di ogni vita,
ogni briciola di desiderio è custodita
in ogni oggetto che abbiamo sfiorato.
Una donna tenta di leggere il futuro
nei fondi della sua tazza di tè verde.
Un uomo tenta di ricordare il passato
mentre si rade davanti a uno specchio.
Un gatto in equilibrio su una ringhiera
valuta l’altezza, il salto, la caduta.
E c’è un cane che abbaia a un muro
per chiedergli ragione d’ogni torto.
Tutti i bambini appena nati pensano:
“E fu sera e fu mattina, un nuovo giorno”.
In saecula saeculorum.
L’AUTORE
Francesco Randazzo è scrittore e regista. Laureato in Regia, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, nel 1991. È attivo in Italia e all’estero come regista e autore per importanti teatri e festival. Ha pubblicato con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e quattro romanzi; ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di letteratura e drammaturgia nazionali e internazionali. Parallelamente ha svolto attività didattica con corsi di recitazione, regia, drammaturgia e scrittura creativa, storia dello spettacolo, stages e conferenze per varie istituzioni pubbliche e private.