Non era previsto che sopravvivessimo

Non era previsto che sopravivessimo: Faltonia Betitia Proba | L’Altrove

Tra le tante opere letterarie della tarda antichità quasi dimenticate ai nostri tempi c’è il poema di Faltonia Betitia Proba sulla creazione del mondo e sulla vita di Gesù.

Faltonia Betitia Proba (c. 306/315 d.C. – c. 353/366) fu un’autrice cristiana romana latina, forse la prima poeta cristiana la cui opera sopravvive. Membro di una delle famiglie aristocratiche più influenti, compose il Cento Vergilianus de laudibus Christi, un cento composto con versi di Virgilio riordinati per formare un poema epico incentrato sulla vita di Gesù.

Proba apparteneva ad un’influente famiglia del IV secolo, i Petronii Probi. Suo padre era Petronio Probiano, console romano nel 322, mentre sua madre si chiamava probabilmente Demetria. Aveva aveva un fratello, Petronio Probino, nominato console nel 341; anche suo nonno, Pompeo Probo, era stato console, nel 310. Proba sposò Clodius Celsinus Adelphus, praefectus urbi di Roma nel 351, creando così un legame con la potente gens Anicia. Ebbero almeno due figli, Quintus Clodius Hermogenianus Olybrius e Faltonius Probus Alypius, che divennero alti ufficiali imperiali. Aveva anche una nipote Anicia Faltonia Proba , figlia di Olibrio e Turrania Anicia Giuliana.

La sua famiglia era pagana, ma Proba si convertì al cristianesimo quando era adulta, influenzando il marito ed i suoi figli, che si convertirono dopo di lei. Proba morì prima di Celsino. Fu probabilmente sepolta insieme al marito nella Basilica di Sant’Anastasia al Palatino a Roma, dove, fino al XVI secolo, si trovava la loro iscrizione funeraria, successivamente trasferita a Villa Borghese prima di scomparire. Il legame di Proba con questa chiesa potrebbe essere messo in relazione con sant’Anastasia , che probabilmente apparteneva alla gens Anicia: Proba e Celsinus potrebbero aver ricevuto l’onore di essere sepolti ad sanctos (accanto alla tomba di un santo), per la particolare venerazione degli Anicii per questo santo. Con il marito possedeva gli Horti Aciliorum a Roma, sul Pincio.

Il Cento Vergilianus de laudibus Christi

Forse composto in risposta al decreto di Giuliano del 362 d.C. che vietava agli insegnanti cristiani di offrire istruzioni sui classici pagani, il Cento Vergilianus de laudibus Christi è composto da 694 versi e si colloca vicino all’inizio della tradizione poetica latina cristiana. Si tratta del primo poema latino a concentrarsi sui capitoli iniziali della Genesi, il Cento di Proba è quindi il primo di una serie di poemi dedicati ai temi della Creazione e della Caduta. Sia il fatto di essere donna, che per il suo background aristocratico suggeriscono argomenti interessanti per le indagini degli storici sociali. È la forma della sua poesia, tuttavia, che qui cattura la nostra attenzione.

Proba, certo, non ha inventato il cento; I centoni omerici (Homerocentona) esistevano prima dell’era cristiana. I primi centoni latini di cui abbiamo notizia compaiono alla fine del II secolo d.C. e sono dedicati prevalentemente a temi mitologici. Proba, tuttavia, fu uno dei primi a impiegare le opere di Virgilio a scopo cristiano, e altri seguirono l’esempio: abbiamo cento del IV e V secolo chiamati Versus ad gratiam Domini, De Verbi incarnatione e De Ecclesia. L’intento serio dei cento cristiani è degno di nota e contrasta nettamente con la banalità di produzioni come il cento di Ausonio sui matrimoni, che il poeta stesso definisce “ridicolo” (ridenda). Sebbene il cento sia una stranezza estranea al gusto moderno, c’è da dire che erano effettivamente popolari all’epoca di Proba.

Ed è proprio la forma del poema di Proba a sollevare interrogativi sul suo contenuto: perché se la sua rappresentazione di Gesù è costruita in gran parte su versi dell’Eneide, dobbiamo chiederci come le derivazioni virgiliane influenzino l’argomento cristiano e, più in particolare, dobbiamo chiederci in che misura e in che modo la rappresentazione di Gesù fatta da Proba è influenzata dalla comprensione classica dell’eroico.

È difficile rispondere alla domanda. Rimaniamo all’oscuro dell’intenzione poetica di Proba e dobbiamo argomentare basandoci esclusivamente sull’evidenza testuale. Tuttavia, poiché l’eroe a cui si sarebbe rivolta come modello, Enea, differiva in importanti aspetti dai suoi predecessori omerici, aveva a portata di mano un modello eroico più adattabile agli scopi cristiani. Se Enea avesse o meno realizzato pienamente la nuova virtù eroica dell‘humanitas è stato oggetto di accesi dibattiti; i primi teologi cristiani così come i critici moderni si sono affrettati ad accusarlo per la sua propensione allo spargimento di sangue. Nonostante le loro denunce, alcuni elementi nella rappresentazione di Virgilio del suo eroe, come la ricerca di Enea di un obiettivo che trascenda la sua felicità personale, la sua iniziazione a un regno in cui prevarrebbe il “dominio senza fine” e l’aura di divinità che lo circonda, potrebbero essere facilmente adattati a una rappresentazione di Gesù. Inoltre, alcune caratteristiche della vita di Gesù descritte nei Vangeli caratterizzano l’eroe paradigmatico. Ad esempio, la sua nascita da una madre vergine e un padre divino (la madre di Enea era una dea, suo padre un mortale), il suo stretto contatto con la morte durante l’infanzia, la sua lotta contro il potere del male (la storia della tentazione) e la sua morte prematura sono tutte caratteristiche del modello eroico.

Anche se la poeta enfatizza i lineamenti della vita di Gesù nel raccontare le scene del Vangelo, non si ferma qui. Lungi dal limitare il suo resoconto al materiale trovato nel Nuovo Testamento, Proba lo elabora e, così facendo, ritrae Gesù alla maniera dell’eroe classico.
Il poema di Proba, sebbene di tono epico, è cristiano, non pagano. Parecchi anni in precedenza, probabilmente prima della sua conversione al cristianesimo, aveva già composto un poema sulla rivolta di Magnenzio contro Costanzo il Constantini bellum adversus Magnentium (La guerra di Costantino contro Magnenzio) che, purtroppo, non ci è giunto.

Ma bisogna affermare che il Cento Virgiliano sia stato composto in risposta all’imperatore Giuliano che vedeva il Cristo come un normale e miserabile uomo, colpevole e condannato a morte. Proba quindi della la sua poesia e presenta Gesù come un eroe dalla presenza magnifica e imponente, descrivendo il suo aspetto fisico e poi ricostruendo la scena della cocrifissione sì come un evento drammatico, ma non voluto dal figlio di Dio. E vediamo Gesù che condotto alla croce si scaglia contro i suoi assassini minacciandoli, come farebbe appunto un eroe greco-latino. Ed ancora, le glorie che Virgilio vedeva per l’impero romano, sono trasferite nel regno di Dio. Gesù è chiamato “il fondatore”.
di/Una razza divina” (divinae stirpis origo) e durante l’episodio del battesimo con Giovanni il Battista, Dio stesso parla con le stesse parole che usò Virgilio per predire la futura gloria di Roma. Il compito di Proba era diverso: permeare il Cristo con virtù eroiche. Così facendo si discostò dalla tradizione evangelica, ma diede ai suoi lettori il ritratto di un uomo divino che avrebbe lodato la pietas di Enea. Quindi nel Cento di Proba non abbiamo la “cristianizzazione dell’eroe”, ma “l’eroizzazione del Cristo”.

Tum victu revocant vires fusique perherbam

et dapibus mensas onerant et pocula ponunt.

Postquam prima quies epulis mensaeque remotae,

ipse inter primos genitori instaurat honores

suspiciens caelum. Tum facta silentia linguis

dat manibus fruges dulcesque a fontibus undas

implevitque mero pateram ritusque sacrorum

edocet inmiscetque preces ac talia fatur:

«Audite, o proceres, — ait — et spes discite vestras.

Nemo ex hoc numero mihi non donatus abibit,

promissisque patris vestra — inquit — munera vobis

certa manent, pueri, et palmam movet ordine nemo.

Et lux cum primum terris se crastina reddet,

unus erit tantum in me exitiumque meorum,

dum paci medium se off ert, de corpore nostro.

Iamque dies, nisi fallor, adest: secludite curas:

mecum erit iste labor, nec me sententia fallit:

unum pro multis dabitur caput». Haec ita fatus

conticuit seramque dedit per membra quietem.»

«Allora recuperano le forze con il cibo e, sdraiati sull’erba,

colmano le mense di cibi e vi pongono calici.

Appena ci fu la prima pausa al banchetto e le mense furono

allontanate,

Egli tra i primi rinnova gli onori al Padre,

volgendo gli occhi al cielo. Allora le lingue tacquero.

Off re con le mani pane e acqua dolce di fonte,

riempie una coppa di vino puro e insegna i riti

sacri e inframezza preghiere e parla così:

‘Ascoltate, o eletti’ — dice — ‘e apprendete le vostre speranze.

Nessuno di questo gruppo se ne andrà senza premio,

e per le promesse del Padre i vostri doni’ — disse —

‘vi restano certi, giovani, e nessuno muta l’ordine della vittoria.

E non appena la luce di domani tornerà sulla terra,

uno soltanto sarà dal nostro numero

contro di me e a rovina dei miei, venendomi incontro per baciarmi.

Ormai se non erro il giorno è vicino. Allontanate gli affanni.

A me spetta questo compito, e non viene meno il mio proposito:

una sola vita sarà sacrifi cata per tutti gli altri’. Ciò detto

tacque e lasciò fluire per le membra un tardo sonno».

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