Riscoprire i poeti

Come fare (e non fare) poesia? Risponde Wisława Szymborska | L’Altrove

Nel corso della sua attività letteraria e poetica, la poetessa vincitrice del Premio Nobel Wisława Szymborska collaborò, dal 1960 al 1968, anche con il quotidiano polacco Życie Literackie (Vita Letteraria).

In quegli anni molti lettori le chiesero come scrivere poesie o come diventare uno scrittore famoso. A queste domande la Szymborska rispondeva con piacere e con quella tipica ironia che l’ha sempre contraddistinta. Distoglieva gli aspiranti autori dalla magniloquenza letteraria, istruendoli a “togliersi le ali e provare a scrivere a piedi”. Ma non solo, sfatava anche il mito dell’“ispirazione divina”, dicendo: «È molto bello dire agli amici che venerdì alle 22:45 eravamo posseduti dallo spirito della poesia… ai grandi poeti piaceva raccontare storie del genere, ma a casa montavano tranquillamente questo dettato divino.»

Queste ed altre repliche ai quesiti più o meno disparati sono state raccolte, tradotte e pubblicate in Italia da Libri Sheiwiller nel 2002 in un libricino dal titolo Posta letteraria ossia come diventare (o non diventare) scrittore.

Proponiamo di seguito alcune risposte di Wisława Szymborska pubblicate nel libro:

La definizione di poesia in una frase – mah. Ne conosciamo almeno cinquecento, ma nessuna ci sembra sufficientemente esatta e al tempo stesso esaustiva. Ognuna esprime il gusto della propria epoca. Uno scetticismo innato ci trattiene dall’arrischiare un’ulteriore definizione. Ci siamo però ricordati un bell’aforisma di Carl Sandburg:” La poesia è un diario scritto da un animale marino che vive sulla terra e che vorrebbe volare”. Può bastarLe?


Come diventare scrittori? Lei fa una domanda difficile e scabrosa quanto quel ragazzino che chiedeva come si fanno i bambini, e quando la mamma gli ha detto che gliel’avrebbe spiegato più tardi, perché in quel momento era molto occupata, ha ripreso a insistere: «Spiegami almeno la testa»… – D’accordo: anche noi cercheremo di spiegare almeno la testa: ecco, bisogna avere un po’ di talento.


Lei ci chiede qual è il nostro parere su Omero. Finora ottimo. Perché, è successo qualcosa?


Tutto a questo mondo si distrugge per il continuo uso, tranne le regole grammaticali. Se ne serva con più coraggio, Signora – bastano per tutti.


Lei ha preso la nostra risposta come un’offesa personale. Erroneamente, mi creda! Affermando che manca l’immaginazione, d’altronde così essenziale in poesia, non mettevamo in dubbio né le sue doti di cuore e di carattere, né le sue competenze professionali, né gli orizzonti intellettuali, né le maniere, né la virilità. […] È un’offesa dire a un biondo che non è bruno, quando poi è lui stesso a chiederlo? È una sopravvivenza romantica la convinzione che essere poeta costituisca la gloria e l’onore più grande, mentre la gloria e l’onore più grande consistono nel fare in modo eccellente ciò che si è capaci di fare.


Oggi basta che uno scriva qualche paginetta e subito si chiede che valore abbia, si tormenta pensando di pubblicarla e vuole sapere se valga la pena di “perdere tempo”… è triste che ogni frase in qualche modo formulata con grazia debba immediatamente “valere la pena”. E se ne valesse la pena solo fra dieci o vent’anni? E se non ne valesse mai la pena in senso pubblico, ma in complesso servisse a chi scrive nei momenti più difficili della sua vita, arricchendone la personalità? Tutto questo non conta, forse?


Non cerchi di essere poetico a tutti i costi, la poesia è noiosa, perché è sempre ripetitiva. La poesia, come del resto tutta la letteratura, trae le sue forze vitali dal mondo in cui viviamo, da vicissitudini davvero vissute, da esperienze davvero sofferte e pensieri autonomamente pensati. Il mondo deve di continuo essere descritto daccapo, perché dopotutto non è mai lo stesso di una volta, non foss’altro perché un tempo noi non c’eravamo.


Il talento non si limita all’“ispirazione”. Di tanto in tanto l’ispirazione può capitare a tutti, ma solo chi ha talento è capace di star seduto davanti a un foglio di carta lunghe ore, cercando di dare una forma compiuta al dettato del suo spirito.


Nelle sue poesie a ogni passo si incontrano cliché poetici. Usarli non è affatto un crimine nei confronti dell’Arte: le capita sempre di avere epigoni, ci è abituata. Solo che dalle loro attività non trae profitto alcuno.


A giudicare dalla calligrafia, chi scrive non è una persona di età avanzata, quindi ha ancora molto tempo a disposizione. Legga perciò buona poesia e la legga bene, ossia studiando le immense possibilità di ogni parola usata. In fin dei conti si tratta delle stesse parole che giacciono morte nei dizionari o vivono di una vita incolore nella lingua comune. […] Chissà, magari una forza poetica sonnecchia al fondo della sua anima, finora però non si è ancora manifestata. Lei le ostruisce il passaggio ammucchiando metafore tanto da impedire la vista del mondo che sta dietro ad esse.


Mi rincresce dover scrivere continuamente: immaturo, banale, informe… è vero, d’altra parte però questa non è una rubrica per premi Nobel, ma per quelli che hanno tempo davanti prima di dover cucire il frac per Stoccolma. […] La poesia è stata e sarà un gioco, e non ci sono giochi senza regole. Lo sanno i bambini. Perché gli adulti lo dimenticano?

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