Estratti ed Inediti

Estratto da “L’antologia” di Daniele Barni | L’Altrove

MORTE, MADRE AUTOMATICA

Morte, madre automatica,
noi dalla terrestre
placenta partorisci nell’ignoto. Imbavati
in questa pioggia amniotica,
viscida alle finestre,
sono lampioni, vie, palazzi le tue viscere.
Qui attendo, nella stanza,
scrivendo finché a volte la notte trasparisce,
i giorni della tua gravidanza
volubile. Ma senza pianto sarà il mio parto,
come il parto dei morti.


STASERA, NUOVAMENTE

Stasera, nuovamente,
avvicino la cornea alla lente
della mia finestrella,
che focalizzo, come i cannocchiali,
ora in mezzo al quartiere
costellato a lampioni e a fanali,
e ora verso una stella.
Le immagini di tante primavere
trapassate rinnovo sullo specchio
del campetto quaggiù, dove i miei vecchi
seminavano i giorni e la pensione:
generazione d’ironia e d’acciaio,
che con la stessa allegra devozione
manovrava il fucile e il perticaio.
Nonno Giosuè, per primo piano mi vieni incontro
con quei sorrisi in bocca e sulla fronte:
almeno qui, in terreno da metafore,
io sono la radice e tu, di questi rami sillabici, il fiore.


IL FIUME

Il fiume è partorito dalla terra:
il suo pianto disegna prima un rigo,
che si fa traccia e poi tragitto che erra,
zigzaga, si raddrizza, nell’intrigo
del suo andare, o discendere, o finire.
Il fiume cade ma procede, sbanda
ma prosegue, ora scivola giù a spire
ma ci riprova, e senza far domanda:
il desiderio suo è di passare.
Il fiume ora cammina sopra lame
di pietra, si riposa in pozze rare,
trascina con la schiena ogni gravame;
svuota l’eccesso, colma la mancanza
e porta pure in braccio chi lo chiede.
Verso la fine, poi, in silenzio avanza,
lento corteo di vanità e di fede.


LA RINASCITA

Quel giorno, forse nello studio
murato di libri,
ho sincronizzato il cuore
con la sveglia:
non so se lei palpitasse
o lui ticchettasse.
Facevo acrobazie sulla sedia,
ora avanti nel futuro,
ora all’indietro nel passato,
come funambolo del tempo.
Il tempo,
che, andandosene,
rimaneva.


LE DOMANDE

Ho scarpinato, rigo dopo rigo,
per libri e libri; e ho sfogliato la vita,
ingombrando con note bordi e spigoli,
fino alla quarta, in parte già ingiallita
ormai, di copertina.
Ma non uno ho incontrato che a voce oppure a china
chi e perché, mi dicesse,
mi ha fornito pupille capienti,
che contengano i cieli con tutti gli elementi,
per poi versare in esse
il nero che non raggiorna;
né orecchie che distillino le note dal rumore,
come in melodia alcolica per l’alambicco torna
la ressa del vapore,
per farle traboccare
poi di silenzio; e forse non verrà
mai nessuno a svelare
chi e perché, per sommergerli poi in scrosci di terra,
mi ha fornito nari,
polpastrelli e papille,
con i quali io possa separare
persino l’acqua per la sete e i mari,
schizzi di temporale da scintille
incendiarie, e l’aria
della cima e di fogna.
Tirato via da questa mia deriva
di domande, semmai definitiva,
attendo solo il sonno che non sogna,
e mentre la giornata non è ancora finita
camuffo la mia vita con la vita.

L’AUTORE

Daniele Barni

Daniele Barni è nato nel 1973 e vive a Sansepolcro. Si occupa di poesia, di storia dell’arte e critica letteraria. Per Edizioni Creativa ha pubblicato la raccolta poetica Finestre (2011); per Cartman Edizioni il saggio Lo sguardo della critica: I conoscitori d’arte in Italia tra XIX e XX secolo (2013). Per Italic Pequod ha pubblicato il libro di poesie Piccola antologia di anonimi contemporanei (2017) e L’antologia.

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