Estratti ed Inediti

Estratto da “A Regular Poem” di Alessandro Porto | L’Altrove

Dalla prefazione di Alfonso Maria Petrosino:

A Regular Poem di Alessandro Porto è un poema multiforme: se tralasciamo il Congedo, non parte integrante del testo, ma una versione in versi dei classici ringraziamenti di fine libro, abbiamo 23 canti più un proemio (per un totale di 24, come i poemi omerici), lungo i quali Romeo, il protagonista, attraverso incontri più o meno allegorici e peripezie più o meno edificanti, inseguendo l’amore scopre il senso della vita. Se Dante, qui costantemente citato, evocato e parodiato, fonda il suo viaggio sulla scolastica di San Tommaso d’Aquino, Alessandro Porto sceglie invece come modello filosofico per questo viaggio metropolitano il Nietzsche dell’Oltreuomo e, oserei dire, quello del 3 gennaio 1889, quando la follia lo portò a sussurrare a un cavallo a Torino una misteriosa apologia. C’è un’idea di poesia varia e variegata, goliardica e accademica allo stesso tempo, postmoderna e deliberatamente inattuale che lo porta a elencare tramite perifrasi scherzose i grandi della letteratura italiana e arrivare alla fine agli esponenti del Poetry Slam (tra gli altri, Passoni e Savogin). Il metro è proteico e passa dai versi informi dei primi canti a un’escursione di metri tradizionali, terzine, strofette manzoniane (canto X) e persino una sestina lirica (XX, vv. 30-68). Lo stile è coerente con questa scelta e mira alla creazione di una patina letteraria più o meno ironica, sicuramente straniante: anastrofi à gogo e apocopi seriali, arcaismi a tutto spiano (per esempio speme per speranza), ironiche italianizzazioni di anglismi (computero, smartfono…). Vengono evocati personaggi della politica attuale (da Merkel a Renzi) e testi della tradizione poetica, come “In a Station of a Metro” di Ezra Pound o la ballata “Perch’i’ no spero di tornar giammai” di Guido Cavalcanti. Ricorrendo al paragone che Machiavelli fa nel capitolo VI del Principe (“[…]come gli arcieri prudenti, ai quali parendo il luogo, dove disegnano ferire, troppo lontano, e cognoscendo fino a quanto arriva la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta, che il luogo destinato, non per aggiugnere con la loro forza o freccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro.”) verrebbe da dire che Alessandro Porto spari un colpo al sole a mezzogiorno. Se l’ambizione bastasse, questo poema sarebbe l’opera del decennio. Ma ecco come si definisce da sé (Canto XIII, vv. 116-125):

“La mia storia tanta,
un poco strana,
fuor dallo schema
pare un poema,
ma da ignorare,
che un poco stona,
ma sembra in vero,
di raccontare,
la storia di tutti:
un poema regolare.”

Pubblichiamo di seguito il Proemio:

Proemio o Parodia

È questo del cammin dell’Uomo Nuovo
il buon viaggio raccontato,
ch’egli nel primo amore ha ritrovato
il tutto dentro il vuoto.

Alla metà circa della mia vita,
-no, un poco prima ancora,
tipo sulla quarantina-
mi ritrovai sulla provinciale ovest,
dov’è tutto un pullulare di battone,
ch’era la vita mia una gran fatica.
Operaio, uomo, un ingranaggio,
opera mia le tastiere da computero,
l’inserimento dei tastelli
nell’estenuante catena di montaggio.
Ahia! Quanto soffrire ho da dire,
ma per trattar delle mie scoperte
e del mio tanto divertire
dirò tutte quante le vicende
che mi andarono a colpire.
Non ho parole alte abbastanza
o sincere quanto serve;
chiedo quindi alla madonnina
o se servisse al dio delle scienze
-quell’Angela di Alberto-
d’infondermi il giusto dialogare
i versi più perfetti
per raccontare i sobborghi,
i salotti per bene, le case chiuse,
gli open bar del sabato sera
e tutte quelle esistenze
che il Cielo mi dischiuse,
così ch’io vi narrassi
come stanno in ver’ le cose.
I versi ho scelto io
o ha scelto Dio per me,
ché le prose non le si legge
proprio più nessuno
e quindi, no, perché?
Perché non un poema?
Che non li si scrive più,
dai tempi dell’inferno e paradiso,
del poeta tutto preso,
sì, proprio quello col nasone
o l’altro mezzo scemo,
quello che ha il nome da mangiare
o quel che canta battaglie religiose;
o d’ancora prima ancora,
che si cantavan le armi
e lo splendor di Roma,
i bei tempi quelli belli veramente
quando non c’era la Merkel
e gli invasori bastardi li si faceva noi
e non i nazi,
che quelli uccidono
che hanno il sangue cotto,
noi uccidevamo solo,
perché noi s’uccideva Cesare
e loro cacciavano marmotte;
o i poemi quelli prima,
prima ancora di quelli nostri,
quelli dei greci,
che prima di fare lo yogurt
facevano le democrazie
e le battaglie quelle serie
contro i figli di Troia
che il nome è tutto un dire
e c’avevano gli eroi mezzi dio
con le abilità speciali,
da attivare al turno dopo
se evochi un mostro di tipo terra/fuoco.
Dunque, vi canto e decanto,
me la canto, ve le suono
queste teste vuote baritono,
con questo poema regolare,
sì, una roba proprio classica,
che racconta una cosa normale,
normale proprio da mondo post-modern,
diciamo pure post-mortem:
a regular poem.

L’AUTORE:

Alessandro-Porto

Alessandro Porto pubblica il suo primo libro nel 2017, Mezzi racconti di un Mezzo Artista, e vince il campionato regionale Poetry Slam Under20. Da allora porta la sua poesia in tutta Italia e mette in scena opere teatrali di cui è autore. Vincitore della terza edizione di Parole aperte – X-Factor Letterario, frequenta la facoltà di Lettere Moderne presso l’Università Statale di Milano.

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