Non era previsto che sopravvivessimo

Non era previsto che sopravvivessimo: Cecilia Trebulla | L’Altrove

Cecilia Trebulla fu una poetessa dell’Impero Romano, di cui si sa poco. Potrebbe essere stata un’aristocratica basata su ipotesi fatte sulla natura della sua scrittura e sulla conoscenza del greco letterario. Scrisse infatti poesie giambiche greche e gli unici resti del suo lavoro sono tre epigrammi incisi sulla gamba sinistra di uno dei Colossi di Memnon.

Si ritiene che abbia visitato per la prima volta la statua nel 130 d.C. e vi sia tornata per farvi incidere le due poesie successive. Non si sa molto di lei a parte le poesie che lasciò su questo monumento, poiché visse in un periodo in cui i versi scritti da donne non erano tipicamente pubblicati, quindi il suo lavoro ci è pervenuto tramite questi graffiti.

Non fu l’unica poeta a lasciare il segno su questo monumento e nemmeno l’unica a farlo attraverso graffiti o segni, ma le iscrizioni lasciate dalle poete sulla gamba di Memnon sono quasi il 6% delle opere composte da donne che sono sopravvissute del mondo antico. È probabile che non abbia inciso lei stessa la sua poesia, ma abbia invece pagato uno scalpellino locale per farlo per lei in ricordo della sua visita dopo aver composto ogni poesia.

Si tratta di «testi che per accuratezza ed eleganza nell’esecuzione delle lettere e per l’uso di solchi larghi e profondi non sono veri e propri graffiti, ma si avvicinano di più all’epigrafia monumentale, tanto da far pensare (ma questo vale anche per i graffiti di mano maschile) all’intervento di maestranze specializzate che si mettevano a disposizione dei
visitatori, scrivendo sotto dettatura oppure proponendo essi stessi testi da incidere, personalizzabili con rapidi adattamenti» affermava Buonpane.

Una credenza popolare dell’epoca affermava che la statua di Memnon cantasse a sua madre Eos, la dea dell’alba, perché le pietre emettevano un suono mentre venivano riscaldate dal sole nascente. È possibile che questo suono l’abbia ispirata a menzionare sua madre.

Di seguito i tre epigrammi di Cecilia Trebulla

Τρεβούλλης.
Τῆς ἱερᾶς ἀκούουσα φωνῆς Μέµνονος,
ἐπόθουν σε, µῆτερ, καὶ ἐξακούειν εὐχόµην.

Di Trebulla. Nell’udire la sacra voce di Memnone,
avevo nostalgia di te, madre, e pregavo che anche (tu la) sentissi (a distanza)


Καικιλία Τρεβοῦλλα
δεύτερον ἀκούσασα Μέµνονος.
Αὐδῆς τὸ πρόσθεν µοῦνον ἐξακούσαντας,
νῦν ὡς συνήθεις καὶ φίλους ἡσπάζετο
Μέµνων ὁ παῖς Ἠοῦς τε καὶ Τιθωνοῖο.
Αἴσθησιν ἆρα τῷ λίθῳ καὶ φθέγγµατα
ἡ φύσις ἔδωκε, δηµιουργὸς τῶν ὅλων.

Cecilia Trebulla
che udì Memnone per la seconda volta. Memnone, figlio dell’Aurora e di
Titone,
adesso accoglieva come frequentatori abituali e amici
noi che in precedenza ne udimmo soltanto la voce.
Dunque la natura, creatrice dell’universo,
donò alla pietra facoltà
percettive e uso della parola


Cecilia Trebulla epigrammi

Καικιλία Τρεβοῦλλα
ἔγραψα ἀκούσασα τοῦδε Μέµνονος.
Ἔθραυσε Καµβύσης µε τόνδε τὸν λίθον,
βασιλέος ἑώιου εἰκόν’ ἐκµεµαγµένον.
Φωνὴ δ’ ὀδυρµὸς ἦν πάλαι µοι, Μέµνονος
τὰ πάθη γοῶσα, ἣν ἀφεῖλε Καµβύσης.
Ἄναρθρα δ[ὴ] νῦν κἀσαφῆ τὰ φθέγγµατα
ὀλοφύροµ[α]ι, τῆς πρόσθε λείψανον τύχης.

Io, Cecilia Trebulla,
scrissi dopo aver udito qui Memnone.
Cambise mi ha infranto in questa
pietra,
plasmata ad immagine di un re orientale.
La mia voce
– che Cambise strappò e che lamentava i patimenti di Memnone –
un tempo era un gemito.
Adesso invero ‘piango’ suoni
disarticolati e oscuri, memoria della mia sorte passata

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