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Le più belle poesie di John Keats | L’Altrove

Il 23 febbraio 1821, esattamente duecento anni fa ci lasciava John Keats.

Considerato uno dei maggiori poeti romantici, Keats nacque a Londra il 31 ottobre 1795. Da giovane frequentò la scuola privata del reverendo John Clarke; ben presto si appassionò alla scrittura e fece amicizia con il figlio del reverendo, Charles Cowden Clarke, giovane di buona cultura e amante della letteratura e in particolar modo poesia.

Purtroppo il giovane Keats fu colpito da una serie di gravi disgrazie Quando non aveva ancora nove anni, gli morì il padre e qualche anno dopo perse anche la madre. Rimasto organo, venne affidato a due tutori e, per loro volere, lasciò la scuola del reverendo Clarke per studiare e lavorare come apprendista presso un farmacista e chirurgo. Dopo il tirocinio si iscrisse in medicina, ma si accorse subito che lo studio di quelle materie non era la sua strada e tornò ad appassionarsi alla poesia. Omero e Tasso furono suoi maestri, li tradusse e ne trasse ispirazione. In questi anni strinse un rapporto di amicizia con Percy Bysshe Shelley, Charles Lamb, Horace Smith e William Hazlitt.
Tra il 1818–19 produsse a ritmo gran parte dei suoi componimenti più significativi e il suo primo libro di poesie.
Sempre in questi anni conobbe Fanny Brawne.
I due innamorati non si unirono in matrimonio, a causa delle condizioni economiche poco agiate del poeta e delle sue condizioni di salute. Su suggerimento dei medici Keats si trasferì a Roma per curarsi, ma morì il 23 febbraio 1821 a soli venticinque anni.

I versi di John Keats sono influenzati irrimediabilmente dalla grande tradizioni poetica inglese. Le figure retoriche fanno da padrone nella sua poesia: allitterazioni, consonanze e assonanze danno al componimento quella musicalità che contraddistingue il poeta. Oltre al senso uditivo, John Keats riesce a stimolare anche gli altri sensi del lettore.

Durante la sua vita, però, la sua poesia non venne molto apprezzata, anzi fu criticata in parecchie occasioni da altri poeti e critici. Solo l’elegia composta da Percy Bysshe Shelley alla sua morte, riuscì a dare a Keats la notorietà che gli spettava. Oscar Wilde, ad esempio, fu uno dei suoi più grandi estimatori.

Tra le sue opere più importanti ricordiamo: Sleep and poetry, Endymion e Ode to a Nightingal.

Ricordiamo oggi John Keats con le sue poesie più belle:

A..

Se io avessi una bella forma d’uomo,
allora i miei sospiri entro l’avorio
di codesta conchiglia, il tuo orecchio,
saprebbero echeggiare e il tuo gentile
cuore trovare senza indugio; armato
troppo bene sarei dalla passione
per questa impresa. Ahimè, ma cavaliere
di cui muoia il nemico non son io,
sul petto prominente non mi brilla
corazza alcuna; né un pastor di valle
sono, felice, che per gli occhi d’una
fanciulla gli tremarono le labbra.

Pure bisogna ch’io per te vaneggi,
dolce chiamarti, delle rose d’Ibla
più dolce assai che sentono di miele
quando le impregna una rugiada ricca
tanto che inebria. Ah sì, quella rugiada
gustare voglio, quella mi bisogna,
e quando il viso pallido disvela
la luna voglio andarne raccogliendo
qualche po’ con incanti e con malie.


Ella dimora insieme alla Bellezza

Ella dimora insieme alla Bellezza,
la Bellezza che morir deve; e insieme
alla Gioia che tien sempre sui labbri
la mano a dire addio; presso al Piacere
che duole e in velen muta mentre sugge

ape la bocca. Sì, nel tempio stesso
del Piacere ha il sacrario la velata
Malinconia benché la veda solo
chi con strenua lingua sa schiacciare
contro al palato il grappolo di gioia;

l’anima di colui assaggerà
la tristezza inerente al suo potere,
e andrà fra i suoi trofei capi sospesa.


Dolci le udite melodie, più dolci

Dolci le udite melodie, più dolci
le non udite; dunque voi, soavi
flauti, all’orecchio no, più care all’anima
sonate melodie prive di suono.

Bel ragazzo, cessare tu non puoi
sotto gli alberi il canto, né quegli alberi
essere nudi; audace amante, mai
tu puoi baciare benché quasi a mèta;

pur non ti dolga, ella non può sfiorire
benché tu gioia non ne colga, sempre
tu l’amerai ed ella sarà bella.


Fulgida stella

Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss’io, però non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.

No, eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell’amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d’onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
o se no, venir meno nella morte.


Il grillo dei campi e il grillo del focolare

Mai la terrestre poesia non muore.
Quando tutti gli uccelli al solleone
vengono meno e stan nascosti in mezzo
la frescura degli alberi, una voce
corre di siepe in siepe intorno al prato
su cui appena passò rasa la falce:
è del grillo dei campi, il capintesta
nel tripudio d’estate, mai godere
non cessa, perché quando a giuochi è stanco
posa con agio sotto una grata erba.

Fine non ha la poesia terrestre.
D’inverno, in una sera solitaria,
quando il silenzio è opera del gelo,
strepe fuor della stufa il suon del grillo
del focolare che col caldo sempre
viene crescendo, e a uno che smarrito
a mezzo sta fra sonno e veglia, il canto
par del grillo dei campi ai colli erbosi.

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