
Nel sogno e nella perdita: Roberto Bolaño e la poesia de “I cani romantici” | L’Altrove
Nato a Santiago del Cile nel 1953 e morto prematuramente a Barcellona nel 2003, Roberto Bolaño è oggi ricordato come uno degli scrittori più incisivi della letteratura contemporanea. Sebbene sia celebre soprattutto per romanzi come I detective selvaggi (1998) e 2666 (postumo, 2004), Bolaño si considerava primariamente un poeta. Nella sua traiettoria biografica ed estetica, la poesia ha rappresentato non solo il primo approccio alla letteratura, ma anche un linguaggio privilegiato per dare voce al senso di esilio, sconfitta e smarrimento che permea la sua opera.
Pubblicata in spagnolo nel 2000 e tradotta in italiano nel 2018 da Ilide Carmignani per Edizioni SUR, la raccolta I cani romantici (Los perros románticos) si impone come uno dei documenti più puri del Bolaño poeta. In essa, la tensione verso l’assoluto, l’urgenza autobiografica e la contaminazione con elementi narrativi definiscono un orizzonte poetico unico, in cui l’infanzia, la militanza politica, il nomadismo e l’amore si intrecciano in una continua fuga verso l’altrove.
Attraverso l’analisi di alcune delle sue poesie più significative, questo saggio si propone di esplorare i nodi tematici e stilistici di I cani romantici, sottolineando come la poesia, per Bolaño, si configuri come strumento di resistenza esistenziale e di indagine della memoria.
La poetica dell’esilio e del sogno
Fin dalle prime battute della raccolta, la poesia I cani romantici stabilisce un tono confessionale e nostalgico che attraversa tutta l’opera:
“Avevo perso un paese / ma guadagnato un sogno”.
Questa dichiarazione di poetica evidenzia la centralità della perdita – non solo geografica ma esistenziale – come condizione originaria della scrittura. Bolaño rielabora la propria esperienza di esule, costretto a lasciare il Cile dopo il golpe del 1973, in un linguaggio che fonde lirismo e brutalità, evocando l’immagine dei “cani romantici”, simboli di una giovinezza ribelle e vulnerabile.
La poesia assume qui il ruolo di custode della memoria perduta: il sogno diventa l’unica patria possibile, un rifugio contro la dispersione del sé. Il lessico è semplice, quasi prosastico, ma intriso di un’intensità emotiva che trasforma l’esperienza personale in una metafora universale della sopravvivenza.
Un altro testo emblematico, Resurrezione, ribadisce il ruolo della poesia come immersione totale nell’inconscio:
“La poesia entra nel sogno / come un palombaro in un lago”.
La metafora del palombaro – figura isolata, vulnerabile, ma anche coraggiosa – sottolinea il carattere eroico e disperato del poeta. L’atto poetico non è un’evasione, ma una discesa negli abissi del trauma e del desiderio. La poesia, per Bolaño, si confronta con il buio e lo abita, mantenendo tuttavia intatta una tensione etica verso la verità.
La discesa negli inferi della memoria
La raccolta non si limita a esplorare la perdita personale: essa affonda anche negli inferni collettivi dell’America Latina post-golpe e dei suoi giovani dissipati. In “Nella sala di lettura dell’inferno”, il soggetto lirico si muove in spazi abbandonati e onirici:
“Nelle camere da letto di passaggio / Sulle strade di ghiaccio”.
Gli ambienti descritti sono luoghi di transizione, segnati dall’estraneità e dalla precarietà. Il poeta si fa testimone di una generazione disillusa, incapace di costruire un futuro e relegata a una deriva esistenziale che trova nell’arte l’unico residuo di senso.
Similmente, Sanguinoso giorno di pioggia mette in scena il corpo martoriato della volontà, immerso in un paesaggio paludoso e alienante:
“Scalzo in mezzo al sogno che si muove / dai nostri cuori fino ai nostri bisogni”.
Il linguaggio si carica di un lirismo doloroso, mentre la natura stessa si presenta come un antagonista: il fango e i giunchi diventano metafore di un’esistenza costretta a navigare tra desiderio e abbandono.
Questi testi rivelano un Bolaño profondamente consapevole della fragilità umana e della disgregazione storica. L’inferno non è solo uno spazio metafisico, ma una precisa condizione storica: quella dell’America Latina violentata dalle dittature e abbandonata alle sue rovine morali.
Il tempo della perdita e la dissoluzione dell’identità
Ne Il verme, Bolaño dà corpo a una delle sue figure più ossessive: il “verme bianco”, essere marginale e dolente che vaga senza meta nei deserti del Nord del Messico. Questo personaggio – alter ego del poeta stesso o dei suoi amici perduti – incarna l’identità franta di chi ha rinunciato a ogni illusione.
La poesia si muove tra realismo allucinato e simbolismo cupo: il “verme” diventa il portatore della memoria sconfitta, l’emblema di una resistenza che si è trasformata in sopravvivenza pura. Il tono narrativo si fonde con lampi visionari, creando un ritmo ipnotico che richiama il passo incerto del protagonista.
Io ed Ernesto Cardenal introduce invece un registro ironico e paradossale. Il dialogo immaginario con il poeta e sacerdote nicaraguense affronta la questione della salvezza in chiave dissacrante:
“Padre, nel Regno dei Cieli / che è il comunismo, / c’è posto per gli omosessuali?”.
Qui Bolaño smaschera le utopie politiche attraverso una serie di domande provocatorie, suggerendo che nessuna ideologia può contenere davvero la complessità dell’umano. La poesia si chiude su una visione apocalittica ma stranamente tenera, in cui il mondo naturale – alberi e nuvole – sembra offrire un conforto muto e ancestrale.
Poesia e fallimento: l’estetica della disfatta
Ne Gli artiglieri, la poesia si concentra sulla rappresentazione della comunità poetica stessa, colta nel momento del riconoscimento della propria impotenza:
“Il nuovo incontro gli restituisce solo / la certezza della loro unione”.
La poesia diventa qui uno spazio di solidarietà tra vinti, una forma di sopravvivenza collettiva nella consapevolezza del fallimento. L’estetica della disfatta, che attraversa tutta l’opera di Bolaño, si manifesta in una lingua spogliata, fatta di immagini scarne e gesti minimi.
Anche Sporco, malvestito ribadisce il legame tra poesia, sopravvivenza e autodistruzione. Il poeta, sulla “strada dei cani”, incontra il proprio cuore “sporco, malvestito e pieno d’amore”. La poesia assume i toni di una confessione mistica e degradante al tempo stesso, in cui la lotta per la sopravvivenza si intreccia con una ricerca ostinata di purezza.
Questi testi suggeriscono che, per Bolaño, l’eroismo poetico non consiste nella vittoria, ma nella capacità di resistere alla corruzione del mondo attraverso la parola, anche quando essa stessa si riconosce come insufficiente.
La poesia di I cani romantici rappresenta una delle manifestazioni più intense e autentiche della poetica di Roberto Bolaño. In essa convergono l’esperienza dell’esilio, la memoria traumatica, il desiderio inappagato di assoluto e la consapevolezza dolorosa della sconfitta.
Attraverso uno stile che mescola il lirismo visionario con un realismo brutale, Bolaño restituisce una visione del mondo in cui l’esistenza è inseparabile dalla perdita e in cui l’unico gesto possibile è quello di continuare a scrivere, a testimoniare, a resistere.
La poesia si configura come uno spazio liminale, in bilico tra sogno e incubo, redenzione e dannazione. E in questo spazio, fragile e luminoso, Bolaño costruisce la sua più autentica eredità.

