Poesia in pillole

Poesia in pillole, introduzione a cura del poeta Umberto Piersanti

Cari lettori e compagni di viaggio (o caro lettore di passaggio) , in questi sette mesi abbiamo parlato di poesia cercando un po’ di slegarla da quell’alone pomposo di cui spesso viene rivestita.
Quindi, se nel corso della tua vita il primo impatto con essa non è stato dei migliori niente paura, puoi concederle un’altra chance. Abbiamo dedicato il nostro tempo per donarti alcune nozioni che potessero essere semplici, immediate. A cadenza settimanale ripercorreremo la storia della poesia, l’abc della metrica e qualche considerazione sul verso libero.
Per l’occasione abbiamo chiesto al poeta Umberto Piersanti d’introdurci in questo nuovo percorso, il quale con estrema gentilezza e senza esitare un solo istante ci ha fornito la sua visione fatta di anni ed anni d’esperienza sul campo.
Docente all’Università di Urbino, autore di diverse raccolte poetiche tra le quali La breve stagione (Quaderni di Ad Libitum, Urbino, 1967), Il tempo differente (Sciascia, Caltanissetta- Roma, 1974), L’urlo della mente (Vallecchi, Firenze, 1977), Nascere nel  ’40 (Shakespeare and Company, Milano, 1981), Passaggio di sequenza (Cappelli, Bologna, 1986), I luoghi persi (Einaudi, Torino, 1994), Nel tempo che precede (Einaudi, Torino, 2002), L’albero delle nebbie (Einaudi, Torino, 2008e di tre romanzi  L’uomo delle Cesane (Camunia, Milano, 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio, Venezia, 2001) e Olimpo (Avagliano, 2006), di due opere di critica – L’ambigua presenza (Bulzoni, Roma, 1980) e Sul limite d’ombra (Cappelli, Bologna, 1989), nel 2014 viene nominato direttore di “SibillA Scuola di cultura e scrittura poetica”, promossa insieme all’Assessorato alla Cultura del Comune di Civitanova.
Questa, solo una piccolissima parte del lavoro svolto dal poliedrico Piersanti, considerato uno dei poeti di spicco del nostro secolo.

L’introduzione di Umberto Piersanti
Innumerevoli sono le maniere di accostarsi alla scrittura poetica. Comincio col raccontare quel che succede a me. Ho un’immagine confusa, il gioco di ruba bandiera della mia infanzia. C’è una bambina diversa dalle altre, viene da una grande città, è la prima bambina che vedo con i pantaloni: sullo sfondo i torricini del palazzo ducale di Urbino. È molto bella, io sono frastornato. È il mio turno di correre a strappare il fazzoletto dalle mani di chi fa il palo, la mia avversaria è proprio “la forestiera”. Rimango attonito di fronte a quel fazzoletto e lei veloce scappa via, scappa da quel giorno e dalla mia vita.

Quest’immagine mi perseguita per mesi, so che debbo strutturare qualcosa attorno a lei, ma non so come iniziare, rimando in continuazione. E poi un giorno son solo e calmo, ho dormito bene e la luce pierfrancescana risplende nel cielo urbinate: in un bar non troppo lontano trovo i fogli, la penna ce l’ho sempre con me. Il primo verso viene giù liscio, gli altri mi fanno sudare. Scrivo e correggo per un po’ di ore, infine leggo a voce alta: solo quando il testo resiste anche alla prova orale mi sento soddisfatto. Chiudo il quaderno, qualcuno, ragazzo o ragazza, mi aiuterà a batterlo nel computer, io so usare solo la penna e non è un vezzo. Quando scrivo ho bisogno di masticarla, di fermarmi, di giocherellarci un po’ ed ogni tanto di guardarmi intorno.

Ritorniamo alla lettura orale e cerchiamo di allargare il discorso al comporre poesia in generale. Il verso libero non significa che una lirica non debba avere un suo ritmo, una sua musica, magari la più complessa e perturbata. Non nel mio caso, sono un italiano del centro che ama la tradizione del “canto”, da Petrarca a Leopardi a Carducci e oltre. Comunque non si va mai accapo a caso. L’andare a capo deriva da una necessità che dipende dal ritmo ma anche dalla collocazione visiva nella pagina: pensiamo un attimo al primo in ordine di tempo dei grandi autori novecenteschi, Giuseppe Ungaretti. So bene che D’Annunzio ha scritto “L’alcione” nei primi anni del Novecento e questo è un libro che amo moltissimo, che non ritengo affatto inferiore ai grandi capolavori novecenteschi: ma è con Ungaretti che si afferma un nuovo modo di percepire il dettato poetico.

Oggi per molti il verso libero significa semplicemente andare accapo a caso, ridursi ad una prosa solamente un po’ più sconnessa e strapazzata.

Nel mio mondo la natura ha un posto fondamentale: ritengo di essere il poeta contemporaneo più coinvolto e intrigato dalla natura stessa. Parlare di natura così come d’amore è estremamente difficile dal momento che si può facilmente incappare in una serie di poeticismi, di frasi fatte e sedimentate nella nostra memoria che sono divenute ormai un patrimonio passivo della nostra mente. È come quando si vendono i quadri davanti alle chiese o nelle piazze che rappresentano laghi e monti rifacendosi alla grande tradizione della pittura figurativa ottocentesca, ma siamo solo nella più pallida ed incolore imitazione.

Liberarsi dai poeticismi, dalle frasi fatte è dunque un elemento importante per chi inizia a scrivere e magari intende affrontare questi archetipi che hanno attraversato la poesia di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

Per ciò che riguarda la musica non si tratta di usare la metrica tradizionale, ma questa può essere un sottofondo sempre presente nella nostra mente: si dice che l’endecasillabo rappresenti il respiro stesso del verso italiano come l’alessandrino di quello francese.

L’insegnamento della poesia deve evitare due scogli di fondo, Scilla e Cariddi. Da una parte non si può affogare l’emozione e la bellezza della struttura formale e musicale in una serie di annotazioni pedanti di tipo metrico e stilistico. D’altra parte non si può neanche immergere le parole in un assoluto e confuso sentimentalismo. Tale forma e tale contenuto sosteneva il vecchio de Santis. A mio parere questa è ancora una lezione estremamente importante.

Insegnare non è tanto una scienza quanto un’arte e bisogna esserci portati. Una persona di grande cultura e intelligenza può mancare di una qualunque capacità espositiva. Nelle nostre scuole dovrebbe essere prevista la presenza di poeti in carne ed ossa: è il miglior modo per far capire ai ragazzi che la poesia non è confinata in un passato ormai superato e lontano quanto le dinastie egizie: ma questi poeti in carne ed ossa debbono essere capaci di coinvolgere i ragazzi, di affascinarli anche sul piano emotivo.

Passo ad alcuni criteri che utilizzo nella mia scuola “Sibilla” di Civitanova Marche. Partiamo da un semplice presupposto: in Italia milioni di persone scrivono poesia, ma il numero di lettori è molto, molto basso. Forse siamo il paese che in percentuale ha più alto numero di persone che le scrive e il più basso numero di persone che le legge. So bene che la narrativa non naviga in acque meravigliose: certo, lì ci sono i best-seller costituiti in gran parte i libri di genere, giallo, horror, fantasy, sesso al femminile che spopolano. Molti romanzi anche veramente belli vendono meno copie dei libri di poesia.

Inoltre i pochi poeti letti in Italia sono quasi tutti stranieri, a cominciare da Baudelaire e Rimbaud che affascinano i nostri adolescenti e non solo loro. Un tempo anche l’antologia dello Spoon River,un po’ di Brecht per gli impegnati di sinistra e magari Prevert da regalare il giorno di San Valentino. Per non dimenticare Ginsberg così vicino ai cantanti americani che hanno rappresentato nel bene e nel male il modo di intendere la vita negli anni Settanta e dintorni. Non ho assolutamente nulla contro i poeti stranieri e sicuramente Baudelaire è uno dei più grandi lirici della letteratura mondiale. Il fatto è che queste poesie vengono lette in traduzione e la traduzione non può non perdere moltissimo rispetto al testo originale. Il ritmo, la specificità di una lingua sono pressoché impossibili da rendersi in un’altra lingua: come si fa a tradurre “ermo” in qualsiasi altra lingua? E come si fa a tradurre Leopardi in tedesco dove la luna è maschile e le immagini di quest’ultima sono tutte al femminile?

Gramsci sosteneva che gli italiani hanno sempre avuto una scarsa familiarità con la loro tradizione letteraria: questo discorso è molto più pressante per la poesia. L’abitudine ad acquistare una raccolta intera, in particolare di un poeta contemporaneo, è estremamente scarsa anche nei professori di lettere. In terza elementare la maestra mi ha letto “La madre” di Ungaretti e Ungaretti era più giovane di me oggi.

Dunque nella mia scuola accanto agli esercizi di scrittura ho dato un’estrema importanza alla cultura poetica e mi sono concentrato su quel Novecento italiano così scarsamente frequentato dai lettori di poesia. Ogni settimana alterno agli esercizi di scrittura la lezione su un autore del Novecento e invito i miei studenti che spaziano dagli ottanta ai diciotto anni, a leggere gli autori sui quali è stata impostata la lezione. Ritengo che la lettura dei poeti, in particolare quelli del nostro tempo, sia un prerequisito necessario ma certo non sufficiente per provare a scrivere dei testi. Ogni mese invito un importante autore contemporaneo e sul tavolo ci sono sempre i suoi libri da vendere. Certamente si vendono più libri di un autore in un solo incontro che in un anno intero che so, ad esempio, nella Feltrinelli più importante di Bologna, presso le due torri.

Dopo due anni di lavoro intendo anche un poco affacciarmi nel mondo della traduzione, mantenendo sempre l’interesse centrale per il Novecento italiano. Nella scuola Sibilla si leggono i testi ad alta voce: metodo che ritengo molto importante per fare percepire il ritmo che li governa o magari fare capire che nci si trova solo a un pezzo di prosa in cui si va accapo in modo strano e sostanzialmente ingiustificato.

La discussione sui testi non è totalmente “democratica”: le conoscenze culturali, l’intelligenza e la sensibilità fanno la differenza. Nello scrivere poesia non siamo tutti uguali: non siamo in una scuola pubblica post-sessantotesca.

Credo di avere sommariamente indicato una mia modalità nel comporre e nell’insegnare poesia sapendo bene che nessuna scuola da sola potrà renderti un poeta.

Continua.

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2 commenti

  • gilda.m

    Che belli questi articoli dedicati alla poesia… Complimenti! invidio chi può frequentare i corsi del poeta Piersanti perché condivido tutto quello che sostiene, e so che potrei imparare moltissimo dalle sue lezioni… bellissima introduzione… è possibile chiedere un consiglio su qualche bel testo che affronti lo studio della poesia rispettando quell’equilibrio tra formalismo e innovazione, scrittura e lettura della poesia di cui si parla in questo articolo?

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