Nel discorso critico contemporaneo, che si interroga sempre più spesso sulla genealogia femminile della scrittura e sulla riscrittura dei canoni storiografici letterari, il nome di Enheduanna emerge con una forza che scardina molte delle narrazioni consolidate. Siamo nel XXI secolo a.C., nell’area mesopotamica sotto il regno di Sargon di Akkad, ed Enheduanna — figlia del sovrano, somma sacerdotessa (en) del dio Nanna a Ur — è l’autrice di testi poetici di eccezionale valore liturgico, teologico e letterario. Ma, soprattutto, è la prima figura a firmare i propri componimenti, a rivendicare un’autorità autoriale, a porre l’io poetico come forza agente nel linguaggio. Questo dato biografico e letterario — l’emergere di un soggetto scrivente femminile in un contesto teocratico e patriarcale — apre prospettive critiche ineludibili sul concetto stesso di poesia e sul ruolo delle donne nella storia della letteratura.
Il contesto storico: Akkad, Sumer e il potere sacro
Per comprendere Enheduanna è necessario collocarla all’interno della dinamica storica dell’impero accadico. Figlia di Sargon (2334–2279 a.C.), Enheduanna viene insediata a Ur, centro nevralgico del culto lunare, come somma sacerdotessa del dio Nanna/Sin. La nomina non è solo un atto religioso, ma una strategia politica: l’integrazione delle divinità sumere nel pantheon accadico e la legittimazione della nuova dinastia passano anche attraverso il controllo dei culti e delle istituzioni templari. Enheduanna, dunque, incarna un nodo di potere politico e spirituale. Tuttavia, ciò che la distingue radicalmente è l’emergere di una voce personale, consapevole e potente all’interno di un corpus liturgico normalmente anonimo.
Il corpus poetico: inni, lamenti, liturgie
I testi attribuiti a Enheduanna sono raccolti sotto tre grandi nuclei:
- Inni del tempio (Sumerian Temple Hymns) – un ciclo di 42 inni rivolti a vari templi della Mesopotamia, che celebra la molteplicità cultuale e l’unità del divino.
- Inno a Inanna (The Exaltation of Inanna / Nin-me-šar-ra) – il testo più celebre, in cui la poeta invoca la dea Inanna, dea della guerra e dell’amore, in un linguaggio al contempo epifanico e personale.
- Altri componimenti liturgici, come inni a Nanna e brevi testi dedicati al pantheon sumero-accadico.
Questi testi, tramandati attraverso tavolette cuneiformi redatte in sumerico, sono stati oggetto di edizioni critiche e traduzioni a partire dal XX secolo. Tuttavia, la loro piena comprensione filologica è ancora in divenire, come testimoniano le recenti edizioni accademiche curate da specialisti della glottologia e dell’assiriologia (cfr. Hallo, Westenholz, e Black).
L’Inno a Inanna: la potenza dell’io poetico
Nel Nin-me-šar-ra, Enheduanna compie un atto letterario rivoluzionario: parla in prima persona, inserendo se stessa nel corpo del testo. L’inno è al tempo stesso un elogio e una supplica: dopo essere stata esiliata dal tempio in seguito a una rivolta politica, Enheduanna invoca la dea Inanna perché ristabilisca l’ordine e la sua legittimità. In questo contesto, l’io poetico non è un orpello retorico, ma un soggetto reale, che attraversa l’umiliazione e la redenzione, la prostrazione e la salvezza. È il primo esempio documentato di poesia lirica in cui il soggetto poetico non coincide con un eroe mitico o una voce collettiva, ma con un individuo identificabile, con la sua esperienza personale e la sua interiorità.
Alcuni versi emblematici, qui tradotti dalla versione curata da Benjamin R. Foster, mostrano la centralità dell’autrice:
Io, Enheduanna, la somma sacerdotessa, / ho portato le offerte e i canti, / eppure mi hanno scacciata dal santuario, / come un’indegna, sono caduta nella polvere.
È difficile sovrastimare la portata storica di questo passaggio: Enheduanna scrive di sé non come icona immobile del culto, ma come donna che soffre, che lotta, che prega. In questo senso, la sua poesia introduce — millenni prima di Saffo — una lirica del soggetto, in cui la parola è insieme rituale e confessione, liturgia e autobiografia.
La costruzione del canone e il recupero tardo
Nonostante l’importanza di Enheduanna, il suo nome è stato a lungo assente dalle storie della letteratura. Solo nel Novecento, grazie agli scavi archeologici e al lavoro di decifrazione dei testi cuneiformi, si è potuta ricostruire con precisione la sua opera. Il ritrovamento di tavolette a Ur, Nippur e Lagash, la loro conservazione in collezioni come quella del British Museum o del Pennsylvania Museum, ha permesso una rilettura radicale delle origini della scrittura poetica.
Il recupero critico di Enheduanna è stato centrale per molte studiose del femminismo letterario: da Gerda Lerner a Diane Wolkstein, da Betty De Shong Meador a più recenti autrici come Louise Pryke, si è insistito sulla portata simbolica e politica della sua voce. La sua figura è divenuta emblematica non solo per la storia della poesia, ma anche per la teoria dell’autorialità, per la genealogia delle voci femminili, per la critica al canone androcentrico.
Poesia come potere: parola, rito, autorità
La poetica di Enheduanna non si può comprendere al di fuori della sua funzione rituale. La poesia mesopotamica, come è noto, non distingue nettamente tra religione, politica e letteratura. Tuttavia, Enheduanna riesce a piegare le forme del culto per fare della parola un atto performativo personale e collettivo. Il potere del suo linguaggio risiede nella sua capacità di invocare e trasformare: scrive per ottenere giustizia, per ricostituire l’ordine cosmico, per esprimere una soggettività in lotta. In questo senso, la sua scrittura non è solo testimonianza ma azione, un evento in cui il linguaggio crea ciò che nomina.
L’eredità invisibile: genealogie e omissioni
L’enorme distanza temporale che ci separa da Enheduanna non ha impedito che la sua figura tornasse oggi a interrogarci. La sua presenza è oggi riconosciuta in opere critiche, raccolte poetiche, persino esposizioni museali. Tuttavia, il suo nome resta marginale nel dibattito letterario italiano, spesso ancora reticente a riconoscere la genealogia poetica femminile in una prospettiva globale e stratificata. Inserire Enheduanna nel nostro discorso sulla poesia significa riaprire la questione dell’origine: chi ha scritto per primo? Quali sono le voci che il tempo ha sepolto? Chi ha il diritto di essere ricordato e tramandato?
Una voce per il presente
Scrivere oggi di Enheduanna non è un atto di archeologia letteraria, ma un gesto politico e poetico. Significa restituire alla poesia il suo potere originario: quello di dare forma al mondo, di nominare, di resistere. Enheduanna, la prima poeta, ci parla da un tempo remoto ma sorprendentemente contemporaneo: la sua voce attraversa le epoche e ci interroga, con urgenza, sul significato di essere poeti, donne, soggetti del linguaggio. Nel suo nome — “ornamento del dio cielo” — risuona una promessa ancora da compiere: che la parola poetica, anche nelle condizioni più dure, può diventare uno strumento di trasformazione e memoria, di lotta e bellezza.