
Recensione: “Di girasoli e d’immortalità” di Cecilia Cerasaro | L’Altrove
Cecilia Cerasaro si muove nel panorama poetico contemporaneo con un timbro che coniuga un nitore classico a un’urgenza esistenziale tipica della poesia del secondo Novecento italiano, con echi che vanno da Mario Luzi a Cristina Campo, da Caproni a Chandra Livia Candiani.
Nella raccolta Di girasoli e d’immortalità (Affiori, Giulio Perrone Editore, 2024), l’autrice raccoglie un corpus poetico teso a esplorare la dialettica tra il finito e l’infinito, tra il dolore e la salvezza, tra la carne e l’eternità. Il titolo stesso racchiude questa tensione, accostando il simbolo eliotropico per eccellenza – il girasole, legato alla luce, alla fedeltà e alla ricerca – all’“immortalità”, concetto che riecheggia sia la dimensione religiosa che quella artistica della permanenza
La poesia di Cerasaro è viscerale, ma ordinata da un dettato formale limpido, spesso prosodicamente scandito da enjambement meditativi e da pause che suggeriscono una riflessione costante sull’atto stesso del poetare. L’intera raccolta si struttura come un cammino interiore, dove la parola si fa custode del sacro e della perdita, della memoria e della trascendenza.
Una delle direttrici centrali del libro è l’indagine poetica del corpo e della sua fragilità, spesso colto nella sua tensione tra dolore e desiderio d’eterno. Nella poesia di apertura della raccolta, l’autrice dà voce a un amore che si manifesta come ferita e offerta, in una tensione mistica che ricorda i versi più metafisici di Alda Merini:
Son finite per sempre
le mie parole
per te,
statua grigia dei sogni:
quasi tre mesi che piango
a tutti
ciò che non ti dirò,
pregando anche d’esser sincera
quando sento
che tu
mi ascolti.
La poetica di Cerasaro si caratterizza per una ricerca incessante sul confine tra finito e infinito, sull’ineffabile transitorietà del corpo umano e sulla sacralità della natura, trattata con un linguaggio fluido e penetrante.
Il tema della luce è centrale in questa raccolta, non solo come fenomeno fisico, ma come simbolo del divino, della rivelazione e della purificazione. La luce non è mai statica, ma si riverbera continuamente, trasforma e purifica le esperienze dolorose del quotidiano, rendendo visibile ciò che altrimenti sarebbe nascosto. La luce diventa metafora di un “oltre”, di una ricerca di salvezza, che attraversa la materia per giungere alla sfera dello spirito. In questo senso, la poetessa non si limita a evocare il sacro, ma lo fa proprio attraverso una rivelazione quotidiana: nei momenti più insignificanti della vita, il sacro si fa presente attraverso la luce, in una sorta di illuminazione improvvisa che dà valore all’ordinario.
Il sacro, tuttavia, non si risolve in una visione esoterica o arcana. Al contrario, è nelle piccole cose, nella semplicità delle immagini che la poetessa ricorre al sacro per rivelare l’immortalità nascosta nel quotidiano. Cerasaro conferisce una dimensione mistica all’esperienza umana, dove il sacro non è un’entità distante, ma qualcosa che pulsa nel corpo e nella percezione della luce.
Il corpo umano è un altro dei grandi protagonisti di questa raccolta. Tuttavia, il corpo non è celebrato come un’entità isolata o indipendente, ma come un luogo di passaggio e di contaminazione. Lontano dalla visione celebratoria e sensuale della carne, Cerasaro ritrae il corpo come fragile, caducitante, ma anche capace di rispondere agli stimoli spirituali e alle sollecitazioni della luce. La temporalità del corpo è costantemente sottolineata dal ritmo dei versi, che creano una tensione tra l’effimero e l’eterno.
Mi capita scavare
quel pomeriggio proibito,
alla ricerca del punto esatto
della curva
del tuo collo
che mi svelò la mia mancanza.
Ed eccola di nuovo
un’altra vita
che vedo in icone
alternative dello schermo.
Ti guardavo dall’alto,
dove si leggevano i tuoi
occhi
scuri di luce,
il tuo volto segnato,
trasfigurato dal tenero
dei vent’anni,
le tue cosce al centro
dei desideri,
dal pavimento il riflesso
bianco come te.
In alcune poesie, l’immagine del corpo diventa quasi sacra, seppur segnato dal dolore e dalla sofferenza, in un dialogo intenso con l’anima. La poetessa esplora il corpo non solo come luogo di dolore, ma come spazio in cui il divino può entrare, anche attraverso la consapevolezza della sua finitezza.
Cerasaro riflette sul concetto di tempo in modo simile alla sua trattazione della luce: come qualcosa che sfugge, che trascina con sé la memoria ma anche la speranza di un qualcosa che persiste oltre la morte. L’immortalità, nei versi di Di girasoli e d’immortalità, non è mai una promessa di eternità assoluta, ma un principio che si riflette nelle piccole e sottili forme di continuità: il ciclo della natura, il rinnovarsi dei girasoli, i gesti che si ripetono. In questo contesto, l’immortalità è legata alla bellezza di un istante che si perpetua e si rinnova, ma mai in modo statico o fermo.
Brillavi
della stessa nostalgia
mia,
di chi una volta era tuo.
Case bianche
lontane dalla costa,
perse
in un inizio che non c’era
più,
lontane,
come me, da casa.
Finiva l’estate e la luce
di ciò che un tempo ha vissuto
penetrava,
irrimediabile,
la collina.
Il tempo, pertanto, diventa anche un elemento di riflessione metafisica. Non si tratta di un tempo lineare, ma di un tempo che si ripete, che si accumula, che si piega sulle esperienze personali e collettive, che diventa memoria e speranza. L’immortalità della natura, delle immagini e dei gesti può anche suggerire una continuità che sfida la morte, come se l’esperienza umana, pur nella sua caducità, fosse un riflesso di un ordine cosmico più grande.
Il simbolismo floreale è l’elemento che forse meglio sintetizza l’intera poetica di Di girasoli e d’immortalità. Il girasole, in particolare, emerge come simbolo di una ricerca incessante, quasi devozionale, di luce e di verità. Ma il fiore è anche metafora della fragilità, della necessità di crescere e di vivere sotto la luce per poter essere testimoni della bellezza e della sofferenza.
Ogni fiore nella raccolta di Cerasaro è più che un semplice elemento naturale: è un segno, un segno di vita che persiste attraverso la mutabilità delle stagioni, una dichiarazione di resistenza alla caducità del tempo. La poeta non si limita a descrivere la bellezza dei fiori, ma li carica di significato metaforico, dando loro il compito di evocare la continuità e la speranza, anche nei momenti più difficili e dolorosi.
Di girasoli e d’immortalità è una raccolta di grande forza simbolica e intellettuale, che unisce temi filosofici, esistenziali e religiosi. La luce, il corpo, il tempo e i fiori sono i vettori attraverso i quali la poetessa esplora il mistero dell’esistenza e la ricerca di un senso, nonostante la finitezza della vita umana. Le poesie sono caratterizzate da un linguaggio semplice ma potente, che riesce a evocare profondi significati senza mai cadere nel manierismo.
Cerasaro ci invita a guardare al mondo con occhi nuovi, capaci di scorgere la bellezza e la sacralità anche negli angoli più oscuri e nascosti dell’esistenza. La sua poesia è un cammino di scoperta, di rivelazione e di rinascita, che ci ricorda la potenza della luce e dell’immortalità, racchiusa nelle piccole cose della vita quotidiana.
L’AUTRICE
Cecilia Cerasaro nasce e vive a Roma. Sceglie di dedicare la sua vita alla letteratura e al teatro e si laurea in Filologia moderna. Viaggia per l’Europa e collabora con diverse realtà e riviste culturali, letterarie e teatrali, pubblicando recensioni, riflessioni e racconti. Di girasoli e d’immortalità è la sua prima raccolta di poesie.

