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Le poesie più belle di Charles Baudelaire | L’Altrove

Il piú grande esempio di poesia moderna in qualsiasi lingua, così Paul Valéry definì Charles Baudelaire.

Ricorrono quest’anno i duecento anni dalla nascita del poeta francese.
Baudelaire nacque a Parigi il 9 aprile 1821, figlio del capo degli uffici amministrativi del Senato francese. All’età di sei anni rimase orfano di padre, la madre si risposò con un tenente colonnello e la famiglia si trasferì a Lione. Qui il giovanissimo Charles iniziò a studiare in collegio e poi al liceo, dal quale però venne espulso per i suoi comportamenti. Ciononostante riuscì a diplomarsi e ad intraprendere l’attività letteraria. Entrò in contatto con diversi scrittori che lo portarono a vivere uno stile di vita bohemien, venne sommerso dai debiti e frequentò cattivi ambienti. Per questo su decisione della famiglia fu imbarcato su una nave diretta verso Calcutta, ma Baudelaire fece ritorno a Parigi, ormai maggiorenne. Proseguì quindi la sua attività di poeta, entrò a far parte del Club des Hashischins, un circolo di letterati e intellettuali, al quale fecero parte anche Honoré de Balzac, Eugène Delacroix ed Alexandre Dumas padre. Nel 1855 pubblicò la prima edizione de Les Fleurs du Mal, con solo 18 poesie. La raccolta, però, fu aspramente condannata; nel 1857, infatti, Baudelaire venne accusato di “offendere la morale pubblica e il buon costume”, processato e dovette pagare una multa di 300 franchi ed eliminare 6 poesie considerate “oscene”.
Grazie all’imperatore Napoleone IIII, nel 1861 pubblicò una nuova edizione de I Fiori del Male, con l’aggiunta di 35 nuove poesie inedite. Nel 1866 pubblicò la raccolta Les Épaves (I relitti) e si dedicò anche alla traduzione di varie opere inglesi.
Tuttavia le condizioni di salute del poeta peggioravano, faceva uso di droghe, di alcol, aveva la sifilide e soffriva di attacchi isterici. Proprio nel 1866 fu colpito da un ictus e morì l’anno dopo per un’emorragia cerebrale.

Dopo la morte, la Casa Editrice Calmann-Lévy acquistò i diritti delle sue opere e pubblicò tutta la sua opera. Ma solo nel 1949 la Corte di Cassazione francese revocò la condanna per oscenità ricevuta quasi cento anni prima.

Oggi Charles Baudelaire è considerato uno dei più importanti poeti di tutti i tempi. Sia le sue opere che la sua personalità vengono ammirate ed imitate ancora oggi. Baudelaire incarna quella figura ribelle, romantica, dandy, dedita all’eccesso, alla poesia e ai piaceri. Allo stesso modo la sua poesia è sperimentale, simbolica e maledetta, tra lo Spleen et l’Idéal, tra l’angoscia di vivere (Spleen), che si contrappone all’ideale divino (Idéal).

Oggi ricordiamo il poeta francese facendovi rileggere le sue poesie.

Poesie di Charles Baudelaire

L’uomo e il mare

Il mare, se sei libero, ti sarà sempre caro!
È il tuo specchio; la tua anima contempli
nell’infinito volgersi dell’onda;
né il tuo cuore è un abisso meno amaro.
Con voluttà t’immergi dentro la tua figura,
con gli occhi l’afferri, con le braccia, e il tuo cuore
del rumore di sé si libera se ascolta
quel lamento indomabile e selvaggio.
Entrambi tenebrosi, e discreti: nessuno
in fondo ai tuoi abissi, uomo, è disceso mai,
nessuno, mare, conosce gli intimi tuoi tesori,
perché gelosamente li tenete segreti!
Pure, senza rimorso né pietà
dai secoli dei secoli vi combattete, tanto
vi stanno dentro il cuore carneficina e morte,
o lottatori eterni, o fratelli implacabili!


L’albatro

Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.
L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.
Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima cosí bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!
Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante.


Spleen

Piovoso, a tutti i cittadini ostile,
versa a fiotti dall’urna un freddo tenebroso
sui diafani abitanti del vicino cimitero
e moría sulla nebbia dei sobborghi.
Magro, rognoso s’agita il mio gatto
cercando inquieto un giaciglio sui mattoni;
scorre nella grondaia l’anima d’un poeta,
vecchio, triste fantasma freddoloso.
Geme il bordone, il ceppo affumicato
accompagna in falsetto la pendola arrochita,
e in un mazzo di carte dall’atroce profumo,
eredità fatale d’un’idropica morta,
il bel fante di cuori e la dama di picche
discorrono sinistri di defunte passioni.


Inno alla Bellezza

Vieni, o Bellezza, dal profondo cielo
o sbuchi dall’abisso? Infernale e divino
versa insieme, confusi, la carità e il delitto
il tuo sguardo: assomigli, in questo, al vino.
Racchiudi nei tuoi occhi alba e tramonto. Esali
profumi come un temporale a sera.
Sono un filtro i tuoi baci, la tua bocca un’ampolla
che fan vile l’eroe e il fanciullo ardito.
Esci dal gorgo nero o discendi dagli astri?
Il Destino, innamorato, ti segue come un cane;
sémini capricciosa felicità e disastri,
disponi di tutto, non rispondi di niente.
Cammini, Bellezza, su morti, e ne sorridi;
fra i tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente
e, in mezzo ai tuoi gingilli preferiti, l’Assassinio
danza amorosamente sul tuo ventre orgoglioso.
Abbagliata l’effimera s’abbatte in te candela
e crepita bruciando e la tua fiamma benedice.
Cosí, chino fremente sul suo amore, chi ama
sembra un moribondo che accarezza la sua tomba.
Che importa che tu venga dall’inferno o dal cielo,
o mostro enorme, ingenuo, spaventoso!
se grazie al tuo sorriso, al tuo sguardo, al tuo piede
penetro un Infinito che ignoravo e che adoro?
Che importa se da Satana o da Dio? se Sirena
o Angelo, che importa? se si fanno per te
— fata occhi-di-velluto, ritmo, luce, profumo, mia regina –
meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti.


Armonia della sera

È il tempo che ogni fiore sul suo stelo
esala, vibrante turibolo, il suo incenso;
suoni e odori volteggiano nell’aria della sera,
valzer malinconico e scosceso languore!
Esala ogni fiore, turibolo, il suo incenso;
freme un violino come un cuore
affranto;

valzer malinconico e scosceso languore!
Il cielo è triste e bello come un immenso altare.
Freme un violino come un cuore affranto
che tenero odia il nulla vasto e nero!
Il cielo è triste e bello come un immenso altare;
coagula il sangue che ha annegato il sole.
Un cuore che odia il nulla vasto e nero
compone le spoglie del passato di luce!
Coagula il sangue che ha annegato il sole…
Come un ostensorio splende in me il tuo ricordo!

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