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Recensione: “Favete linguis” di Mario Famularo | L’Altrove

Favete linguis di Mario Famularo (Giuliano Ladolfi Editore, 2019) è una composizione di natura letteraria generata per la celebrazione privilegiata della poesia.

Il poeta accoglie l’invito a comunicare l’orizzonte linguistico del mondo, la funzione della parola per definire e tracciare il confine dello sguardo, aggirando l’angolo di prospettiva e oltrepassando il limite di ogni linea d’ombra. I versi affermano il cono visivo dell’interpretazione con una chiarezza espositiva, maestra di quell’incisività: “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere” (Ludwig Wittgenstein) che di certo non è rivolta al poeta che invece sa parlare non tacendo la sua intensa capacità. Il poeta indaga le relazioni tra pensiero e realtà, esplora le facoltà conoscitive che interagiscono con il comportamento umano.

Mario Famularo rivolge la sua attenzione ai sentimenti affidandosi ad un calendario perenne di emozioni, dove la metafora del tempo è inestinguibile, scandita da una beatitudine pregiata che elude gli ostacoli della disperazione e si appropria del legame impercettibile del cuore che vincola ogni feticismo amato dell’esperienza. L’autore dedica ampio spazio al gioco della vita, “lucido e scaltro”, “duro e bugiardo” sovrastando la temeraria efficacia delle sensazioni. La poesia è la compiutezza impulsiva degli avvenimenti, e il linguaggio è la corrispondenza significativa delle espressioni sensibili più attendibili. I segnali, le vibrazioni, le atmosfere accadono ed indicano la sostanza del tempo. Gli oggetti, le forme, i colori, le descrizioni poetiche raffigurano gli spazi dell’anima. Ogni realtà esposta è una verità emotiva in relazione alla condizione di ogni sensatezza umana. L’approccio umanistico della ricerca dei valori conferma il collegamento di ragione e spirito con l’umanità, la forma di pensiero ingloba l’indagine esistenziale sui rapporti sociali, sul vivere quotidiano, sulla sincerità emotiva, nello spazio metaforico in cui le proprietà di ogni eloquenza poetica vengono decifrate attraverso l’intendimento degli innumerevoli aspetti della vita.
Lo strumento sostanziale della poesia è la forma di arricchimento intellettivo che l’autore nutre nelle sue idee, lo stimolo a mettersi in gioco, a trovare il requisito degli impulsi e a rivelare le relazioni che tengono unita la consistenza del genere umano.
La raccolta poetica applica il contenuto dell’autenticità dimostrando la verità in ciò che si dice, scoprendo l’equilibrio del linguaggio con la realtà dell’obiettività. I versi adeguati alla contingenza concedono l’approfondimento in maniera analitica della proporzione degli affetti e rivalutano gli effetti di ogni legge sentimentale.
La complessità delle espressioni contempla l’individuazione delle condizioni esistenziali svelando le interiezioni, le invocazioni, le preghiere dell’accorata lucidità. L’autore consegna la concretezza alle sfumature della coscienza, nei suoi svariati modi d’essere, nei diversi ambiti del cammino ordinario. L’osservazione mutevole ed incoerente dei comportamenti umani permette di coglierne il senso più sincero della confidenza poetica. Sentire una parola varia nel contesto in cui è inserita ma la sobrietà rigorosa nata dalle poesie di Mario Famularo asseconda il favore dell’intesa e parla ad una lingua inalterabile al tempo.

Ecco alcune poesie tratte proprio da Favete Linguis:

incidere sul tronco
identiche
due lettere

chissà se la corteccia
scheggiata del ricordo
o forse quel paziente
testimone

dei due chissà
per primo chi
si scioglierà nel
vuoto


perché l’alternativa
fonda errori
originari

lo scontro individuale con un mondo
impersonale

reflusso singolare
di conforme
unicità

conflitto appassionato
con un niente che è
qualcosa

ma sempre in
relazione
a una disfatta

prevedibile


quante chiacchiere e alla fine
il vuoto è sempre lì
disteso spazio bianco circoscritto
a ogni dettaglio

un volo di libellula lo graffia
e poi svanisce
il rosa fior di loto brilla un attimo
e dirada

tutto si compone nel tessuto e
incenerisce

gli occhi chiusi e sono
nel frusciare dei canneti

quasi infastidito dal mio
stesso respirare


eppure certi crimini inaspriscono
oltremodo. bisogna mantenere
la colpa nel banale, non diventare
un caso. perché la gente avverte quel
bisogno di annientare sé stessa nei
suoi spettri, nel sangue primordiale.
un male complicato o troppo sciocco
si dimentica. svanisce un po’ più in fretta.
se poi è un malinteso vallo tu a
spiegare al mondo (nessuno ti da retta.
il rito è nella carne,
e un sacrificio è sempre più profondo)

A cura di Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

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