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Addio a John Ashbery

È morto qualche giorno fa, all’età di 90 anni, John Ashbery, uno dei più grandi poeti statunitensi. 

Ashbery vinse nel 1976 il Premio Pulitzer e fu candidato qualche anno dopo al Premio Nobel per la Letteratura. Fu anche il primo poeta vivente ad avere un volume pubblicato dalla Library of America e dedicato esclusivamente al suo lavoro. 
La sua poesia è piacevolmente complessa e non passa inosservata. In un’intervista rilasciata alla rivista Slate, nel 2005, dichiarò di essere sempre alla ricerca di un genere di poesia «di cui la critica non può parlare», quella poesia che non può essere interpretatata e che è capace di lasciare il lettore spiazzato ed estasiato dalla lettura. La poesia di Ashbery è quindi una sfida avvincente, anche oggi.

Vogliamo ricordarlo con una delle sue più belle poesie.

This Room

The room I entered was a dream of this room.
Surely all those feet on the sofa were mine.
The oval portrait
of a dog was me at an early age.
Something shimmers, something is hushed up.
We had macaroni for lunch every day
except Sunday, when a small quail was induced
to be served to us. Why do I tell you these things?
You are not even here.

Questa stanza

La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Certo tutti quei piedi sul sofà erano miei.
Il ritratto ovale
di un cane ero io in piú tenera età.
Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito.
A pranzo mangiavamo pastasciutta tutti i giorni
tranne la domenica, quando una quaglia veniva indotta
a esserci servita. Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.

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