Eventi poesia,  Le nostre interviste

Presentazione di “Ciò che non scombina la quotidianità non è mai un inizio” di Alessandro Dall’Olio 

Se si paragona la poesia a un cavallo alato, allora Alessandro Dall’Olio deve essere il cavaliere che lo spinge a volare. In lui vi è una dedizione smisurata verso la poesia come forma d’arte sociale. 

William Wall, scrittore irlandese.

Ciò che non scombina la quotidianità non è mai un inizio è il titolo della nuova raccolta di poesie di Alessandro Dall’Olio, edita Om edizioni, che sarà presentata il 2 dicembre nella splendida location Santevincenzidue di Bologna.
A condurre la serata, Paola Saoncella assieme a Francesca Scorzoni. Spazio anche alla musica con il pianoforte di Fabrizio Sirotti e alla danza con l’intervento delle ballerine Sara Magnani e Francesca Pizzagalli. Si tratta del terzo libro pubblicato dall’autore bolognese, una raccolta introspettiva e che continua un percorso iniziato con i primi due libri pubblicati rispettivamente nel 2009 e nel 2012.

Abbiamo conosciuto Alessandro come direttore e ideatore del Festival DialogArti, dei Portici Poetici e fondatore del Gruppo 77 oggi, invece, ve lo presentiamo come poeta.
La sua poesia spicca per la semplicità. Nessun artificio particolare, solo parole che provocano tanta bellezza in ogni lettore.
Per l’occasione gli abbiamo fatto qualche domanda.

Ciao, Alessandro. Grazie per la tua disponibilità. Partiamo dal titolo del libro “Ciò che non scombina la quotidianità non è mai un inizio”,  un titolo vero. La poesia scombina la tua quotidianità?



Il titolo, come spesso accade nelle raccolte poetiche, è un verso contenuto nel libro. La poesia ha creato un turbinio al mio vivere, diciamo che lei arriva quando c’è qualcosa da dire e da vivere. Altrimenti se ne sta rintanata per un po’, mobilitando nel frattempo tutte le risorse che ha nelle parole. Non credo nella poesia come fine ultimo di ogni senso quotidiano, credo nella poesia come possibilità di una semplice verità. Che scorre attraverso i nostri giorni e viene a presentarsi in determinati momenti della nostra esistenza. Penso che la vita vera, la ricerca di parole vere, adatte e universali, siano l’autentico propellente poetico. Ci sono poeti che amano scombinare la poesia seguendo principalmente il suono, anche privo di significato. Io non sono uno di questi, io prediligo il significato che balla un tango con la parola, ad una parola che balla una musica che sente solo lei e indica come stupidi gli altri. 
Il titolo del libro è riferito a quei momenti nella nostra vita nei quali tutto il nostro agire e pensare è stato modificato da un accadimento. Se continuiamo a lavorare come prima, se continuiamo a guardare le cose come prima, se continuiamo a fare le cose come prima, allora non è un inizio di nulla. Quando inizia davvero qualcosa la tua terra trema, il tuo cuore sbaglia il ritmo e il tuo giorno ne subisce tutte le variazioni conseguenti. La poesia scombina la mia quotidianità, ma solo quando la mia quotidianità è stata scombinata da qualcosa che si può definire poesia del vivere.

Sei direttore artistico e fondatore di diversi festival poetici, nel corso di essi ti sei fatto un’idea sulla poesia italiana di oggi? In che stato di trova? 

In sala di rianimazione, se fosse possibile un paragone sanitario. Peccato che spesso coloro che vestono il camice di “specialisti” sono quelli che non fanno nulla per guarirla ma fanno di tutto per lasciarla intubata, facendola guardare solo al di là del vetro di protezione. 
Poi, improvvisamente ti imbatti in libri di autori nuovi (come Ivano Porpora o Piergiorgio Viti… ) e capisci che c’è speranza in questo genere letterario, speranza di avvicinare le persone…
Ci sono poi luoghi come il vostro blog e la vostra redazione che non mettono paletti e fanno un ottimo lavoro di vera, reale, tangibile diffusione. Il compito di chi vuole bene alla poesia è di parlare con chi finora non si è avvicinato a lei, ed evitare di parlare con chi invece ne fa una sola questione di interesse personale.

Hai notato più pregi o più difetti? 

Il grande nemico della poesia sono – ahinoi – i poeti stessi, quelli dei cliché stilistici e del costante allontanamento del pubblico, quelli che si credono pronti per il Nobel mentre i vicini di casa non sanno nemmeno se scrivono. A volte basterebbe portarla a spasso per le strade la poesia, staccarle i tubicini farmacologici e farle respirare aria fresca, condurla a incontrare gente nuova. Per parte mia, continuerò a fare conoscere voci poetiche, in tutti i modi praticabili. L’unico modo che eviterò, e che ho sempre evitato, è quello di rompere le scatole alle persone che vengono ai reading. Io uscirei di casa per andare ad annoiarmi? No. E perché allora si dovrebbe offrire agli altri la noia? È un peccato constatare che più di quanto vorremmo ammettere si sta tornando all’autoreferenzialità, ai circoli chiusi, al “raccontamosela tra noartri”. Bocche piene di parole che dopo 48 ore sono già state dimenticate. Un vero peccato, perché la poesia avrebbe bisogno di promesse mantenute, di parole date e onorate, di carezze e di comprensione. 

In che modo gli incontri con le altre arti hanno influito sulla tua poetica?

Le Arti influiscono tutto il nostro vivere. Lo sottolineano e lo esaltano. Ne danno forma e educano al bello. Non credo che si possa scrivere poesia senza vivere la vita appieno. E la vita è una costante forma d’arte, basta avere gli occhi per accorgersene. Mi rendo conto che dopo aver ascoltato alcune note musicali o avere visto una installazione video magnifica, o avere letto un romanzo meraviglioso, la mia poetica trova conforto, non solo ispirazione. E così ci si ritrova a raccogliere una emozione passata e a disporla sul foglio in una specie di progressiva espansione verso la vita degli altri.

C’è qualcosa per cui la poesia si distingue dalle altre forme di comunicazione?

Dovrebbe essere la precisione, per quel che mi riguarda. La poesia, secondo me, è quando tutti hanno provato quello che il verso esprime. Dietro la siepe dell’infinito di Leopardi c’è quello sguardo che tutti conosciamo. Dietro la solitudine di “Lavorare stanca” di Pavese c’è quel camminare che tutti conosciamo. Il lettore legge qualcosa che ha provato: il poeta non è quello che gli consegna parole oscure, il poeta è quello che gli consegna le parole che aspettava. 
La poesia, come l’arte, deve fare quello che fa il desiderio: togliere il fiato.

Progetti per il futuro?

Tanti. Tra dicembre e gennaio la seconda edizione del divertentissimo concorso di poesia dorsale organizzato assieme alla Libreria Biblion, in gennaio al Teatro degli Angeli di Bologna un reading/spettacolo sul tradimento del buio, poi la giuria al Premio Letterario Giuseppe Pontiggia, in aprile all’ITC Teatro di San Lazzaro continua il cammino de “La Geografia è un destino” sui migranti e le loro ragioni, la rassegna Portici Poetici 2017…

Eccovi alcune poesie tratte proprio da Ciò che non scombina la quotidianità non è mai un inizio.

Alba 

Magiche mattine,

eventualità di sbarco.

Fin dove arriva la voce intonata

del cielo di questa finestra?

Svegliarsi in un letto

sconosciuto, nel tutto

che si apre davanti,

e lì scoprire

che non bisogna avere molto

perché nulla manchi.


Paesaggio #4



Arrivi come

il sole arriva

con la chiave

per aprire

tutti gli scrigni

le solitudini

i giardini.


Apri



Vienimi

vicino alla sera.

Apri le braccia

e chiudi la porta


La sirena

La notte è infinita per

chi per primo abbassa

lo sguardo.

Del resto l’ostinazione

del procreare è una croce

contro il naturale piacere.

Vivere non è mai bastato

per sapere che stiamo vivendo.

In queste ombre che li rimproverano,

in questa casa che li rimprovera,

dalla finestra aperta

parte la sirena della fabbrica

e lei dice: “Senti,

cantano la nostra canzone”.

Appuntamento quindi alle ore 21 in via Sante Vincenzi n. 2, Bologna.

Visualizzazioni: 10

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *